Soverato, troppe “verità” per la tragedia di Leandro. Ieri la preghiera dei compagni.

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Un ragazzino di tredici anni, Leandro Celia, è morto in circostanze tragiche mercoledì 8 marzo alle porte di Soverato, travolto da un treno sui binari che attraversano il ponticello sul fiume Beltrame, alle porte nord della città. Era in compagnia di due coetanei, che davanti all’orrore sono scappati impauriti. E più tardi, rintracciati dai carabinieri, hanno parlato, dando la propria versione dei fatti. E così gli stessi media che ieri mattina avevano titolato “Morto per un selfie”, scatenando una miriade di commenti di tipo pseudo-sociologico sui social da parte di educatori improvvisati, genitori e non, tuttologi, commentatori, dopo poche ore hanno riportato anche la sterzata degli inquirenti: “La Polfer conferma che non sarebbe stato un selfie”.

Se le ipotesi in un primo tempo hanno fatto pensare alla moda degli scatti fotografici estremi come possibile causa della tragedia, infatti, in un secondo tempo la Polfer, che ha in mano l’indagine, ha diffuso per bocca della funzionaria Barbara Caccia – dando loro credito nel quadro dei primi elementi raccolti – le parole dei due ragazzini che stavano insieme al tredicenne di Petrizzi al momento dell’impatto con il treno proveniente da Crotone e diretto a Reggio Calabria. “I ragazzi stavano attraversando il ponte ferroviario pensando di percorrere la strada più diretta per arrivare nel centro di Soverato. Il cellulare della vittima è stato sequestrato ed è a disposizione dell’autorità giudiziaria – ha aggiunto Caccia – ma stando alle prime ricostruzioni non sembra che i tre stessero facendosi foto con gli smartphone”. Una tesi esposta con forza da Eliana Corapi, avvocato, chiamata dalla famiglia di uno dei due ragazzini residente a Soverato. “Nessun selfie: su questo si è fatto gossip” esclama Corapi al telefono, ricostruendo quel pomeriggio da adolescenti che si muovono da soli tra Montepaone, dove hanno trascorso il pomeriggio al MdDonald del centro commerciale, e Soverato, dove fanno rientro a piedi.

“I ragazzini stavano camminando sui binari, di spalle, per raggiungere Soverato da Montepaone, e sono stati sorpresi dall’arrivo del treno”, spiega ancora Corapi. Una descrizione per questo aspetto confermata, secondo le prime ricostruzioni investigative, dal racconto del macchinista del convoglio, che avrebbe detto di aver visto i tre ragazzini di spalle correre sui binari. “Due di loro si sono buttati da un lato, Leandro invece si è addossato al lato opposto del ponte e non è riuscito a evitare l’impatto”, sostiene Corapi al termine di un colloquio durato più ore con il ragazzino superstite e con gli uomini della Polfer. Naturalmente saranno le indagini in mano alla procura di Catanzaro (ad ascoltare i due minori il sostituto procuratore Nicola Assumma), con l’esame del telefonino del ragazzo ed eventuali altre valutazioni attualmente allo studio, a dare una più approfondita ricostruzione della tragedia. E a dire cosa ci facessero i tre ragazzini su quel ponticello dove corrono i binari, prima che l’imprudenza, la “bravata” – o quel che verrà fuori dalle indagini –  lasciasse il posto all’orrore.

Nel frattempo i ragazzini dell’oratorio don Bosco, tanti compagni in lacrime e professori della scuola media Ugo Foscolo dove Leandro frequentava la terza classe e molti cittadini del soveratese si sono riuniti ieri a pregare nella sala interna dell’oratorio. Un momento affollato e al tempo stesso intimo e solenne, dove si cantava, si pregava, ci si stringeva insieme ricordando Leandro, con lo schermo a proiettare la citazione di Gesù dal vangelo di Giovanni: “Non siate tristi, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Il parroco, don Pasquale Rondinelli, ha officiato l’incontro con letture del Vangelo intervallate da pause di silenzio, chiedendo ai ragazzi di scrivere su un bigliettino un proprio pensiero per Leandro. Nel rispetto dello strazio della famiglia. E della memoria di un ragazzo dolce e vivace, ogni sera presente in oratorio per infinite partite di calcio, un ragazzo che “non è passato a un’altra vita, ma continua questa stessa vita eterna che abbiamo tutti, solo che dall’altra parte”, ha ricordato don Rondinelli. “Non vediamo più il corpo, non ci rallegra più il suo sorriso, ma è vivo proprio come noi e d’ora in poi possiamo chiedergli: Leandro, dammi una mano”. Per l’Opera salesiana “ora è il tempo della preghiera e non dei perché. La preghiera – come recitava la convocazione dell’incontro –  ci aiuterà a capire anche i veri perché”.

Teresa Pittelli

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