L’8 marzo 2021 delle mamme (in dad).

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Auguri auguri auguri. Auguri de che, verrebbe da pensare in romanesco (o auguri un cazzo, trascendendo leggermente causa congiuntura momentaneamente isterica). Oggi in Calabria inizia una nuova tornata di dad, o ddi, insomma di didattica a distanza. Per la maggior parte sulle spalle delle donne. Proprio loro, le donne italiane che secondo la Palombelli hanno il compito fondamentale di “tenere le scuole aperte con i tablet e le famiglie tranquille”.

E se quelle di loro che lavorano, anche in casa e non solo fuori, provano a segnalare il problema, potrebbero essere fraintese. O peggio vilipese. Ho letto sui social frasi oscene rivolte loro da utenti che, purtroppo, spesso sono altre donne. “Volete le scuole aperte perché non vi va di occuparvi dei figli, perché dovete andare a passeggiare e prendere il caffè con le amiche”, è uno dei commenti più ricorrenti. Ma qualcuno si spinge oltre. “Sì magari non solo a passeggiare! Devono fare altro” e via di faccina ammiccante. Più sessismo e anno zero di così. Cosa c’è da aggiungere?

Ci saranno sicuramente oggi collegati da casa, tra un link da aspettare, un notebook da riavviare, un altoparlante da far funzionare, una bambina o un bambino da assistere perché troppo piccola o piccolo per seguire in autonomia, una connessione da ristabilire, un tablet in più da acquistare se si hanno figli, sicuramente, dicevo, ci saranno anche tanti papà. Eppure, al di là dei dati “sconfortanti”, quale che sia il significato attribuito a questo termine dal governatore ff della regione, Spirlì – la Calabria che è tra le regioni meno colpite dal virus e al tempo stesso tra quelle che hanno svolto meno ore di scuola in presenza, il mistero dei numeri che non giustificherebbero un provvedimento così estremo ai sensi del dpcm in vigore – al di là delle opinioni, delle paure, delle legittime divergenze di idee, resta il fatto che secondo i dati Svimez 2019 in Calabria le donne hanno un tasso di occupazione peggiore che nella Guyana francese, in Sudamerica.

E che, spostandoci a livello nazionale, secondo l’Istat dei circa 101 mila posti di lavoro persi lo scorso dicembre, 99 mila erano occupati da donne. E allora, scuola chiusa, lockdown soft, zona gialla che forse sta per diventare rossa in tutt’Italia, quello che vogliamo. I dati, le leggi, la giustizia daranno ragione alle diverse “tifoserie” social. Ma vorrei tenere fermi un paio di punti. La scuola non è un parcheggio, si è detto in questi mesi, talvolta con tono di censura contro i genitori che hanno problemi con la dad. Giusto. La scuola non è un parcheggio. È una comunità. Tra l’altro una delle poche ancora vive, una delle poche certezze alle quali ancorare i nostri ragazzi, in una regione che in due anni, tra il 2018 e il 2020, sempre secondo Istat ha perso quasi il 10% dei suoi abitanti, soprattutto pù giovani, e si sta svuotando.

La mia richiesta quindi è che, se la scuola va chiusa, le famiglie siano aiutate con misure concrete, a cominciare dallo smartworking effettivamente concesso a tutti i genitori che ne abbiano bisogno. E sostegni organizzativi a chi invece non può lavorare smart. Facendo di tutto per riaprire al più presto gli istituti in sicurezza, e mantenerli, poi, aperti e sicuri (il piano vaccini regionale a che punto è? Quali misure anti-assembramento fuori scuola sono in atto?). E soprattutto, al di là del periodo di chiusura, che fosse necessario o meno, sarebbe bello per noi donne essere solidali tra noi, abbandonare l’ormai odioso eppur millenario esercizio della misoginia al femminile, l’una contro l’altra a dimostrare chi è la madre più brava, più capace di abnegazione, rinuncia e sacrificio, al contrario di “quella là”, la vicina, la collega, la mamma di quel compagno. Trasformiamo la nostra rabbia l’una contro l’altra, le guerre tra poveri, tipiche dei periodi di decadenza e di sconvolgimento sociale, in energia che ci serve per combattere insieme molte nuove battaglie che, 8 marzo 2021, appaiono solo all’inizio.

Teresa Pittelli

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