“Perché noi stiamo vivendo notte e giorno solo per ammazzarli a tutti, perché io fino a che non avrò sterminato fino all’ultimo, fino a pure il figlio maschio più piccolo, io non avrò pace. Poi l’ergastolo me lo sarò guadagnato…”. Così parlava Fiorito Procopio, arrestato ieri all’alba dai carabinieri del reparto operativo di Catanzaro al comando del tenente colonnello Alceo Greco, con l’accusa di essere il presunto mandante dell’omicidio di Ferdinando Rombolà, freddato in spiaggia a Soverato nel 2010 davanti alla compagna e al figlio di un anno. Secondo quanto ricostruito dai magistrati nell’ordinanza di duecento pagine firmata ieri dal gip Carlo Saverio Ferraro, Procopio pronuncia quelle parole che invocano nuove vendette sanguinarie nel settembre 2010, quando l’omicidio Rombolà è già avvenuto. Le pronuncia mentre si trova a Roma, in zona Eur, insieme a Davide Sestito, ritenuto affiliato alla famiglia Sia-Procopio, e a Michele Lentini, anche lui arrestato ieri come mandante dell’omicidio Rombolà (sia Procopio che Lentini si trovavano già in carcere).
L’incontro è stato chiesto da Procopio a Sestito, come ricostruisce l’ordinanza, per gridargli in faccia tutto il suo disappunto, dal momento che questi non avrebbe mostrato adeguata afflizione per la morte di suo figlio Agostino, ucciso nel luglio 2010. Sestito si è anzi allontanato dalla Calabria invece di partecipare ai funerali, nonostante il fraterno legame che lo legava al ragazzo defunto. “Il padre gli recriminava fortemente questa lontananza dicendo che non aveva sparato neanche una botta per questa grande amicizia che aveva con il figlio”, racconta il testimone-chiave Gianni Cretarola, presente all’incontro romano. Non solo. Procopio contesta a Sestito il fatto che la di lui moglie, Maria Iozzo, sorella di Margherita, la compagna di Ferdinando Rombolà, il giorno dell’omicidio di Rombolà si trovasse lì in spiaggia, con la figlioletta in braccio, insieme a sorella e cognato. “Avresti dovuto essere tu ad ammazzarlo, altro che (far) trovare tua moglie in spiaggia con lui”, sibila Procopio a Sestito, che prova a giustificarsi inutilmente. Un allontamento, quello del Sestito, che per Cretarola è “ndraghetisticamente incomprensibile”. Tanto che lo stesso Cretarola, davanti ai rimproveri ripetuti di Procopio e Lentini, che recriminano a Sestito anche il fatto che la moglie Maria non abbia salutato la vedova di Agostino, incontrandola in un centro commerciale, si sente di dover intervenire in suo aiuto. “Compare Fiore non vi fate strane idee perché il dolore dove lo volete mettere voi lo vogliamo mettere noi, i morti dove li volete fare voi li vogliamo fare noi”, racconta di aver detto a Procopio. E a parziale giustificazione di Davide, Cretarola cita le parole del fratello Massimiliano Sestito, detenuto e secondo i pm “uomo di fiducia” dei Procopio. “Mio fratello è spratico perché la galera non l’ha ancora passata”, racconta Cretarola. E aggiunge che quando Davide fu arrestato il fratello era contento: “Così almeno si impratichisce”.
Un “vertice” pieno di tensione e recriminazioni, quello di Roma, tanto che Sestito e Cretarola erano arrivati armati. E un vertice che costa moltissimo a Procopio e Lentini: non sanno infatti che i riscontri delle attività investigative (tra le quali le intercettazioni telefoniche di un giro di utenze intestate fittiziamente a un cittadino rumeno residente a Montepaone) unitamente al racconto di Cretarola ai pm Vincenzo Capomolla e Giovanni Bombardieri, forniranno ai magistrati un elemento fondamentale per completare quel quadro di colpevolezza grave e inequivocabile tale da avvalorare la chiamata in correità all’epoca già pronunciata dal collaboratore di giustizia Bruno Procopio, complice “pentito” di Antonio Gullà (killer di Rombolà). Un quadro che, sulla scorta delle nuove risultanze, nei primi mesi del 2014 permetterà alla Procura di Catanzaro di riaprire le indagini archiviate l’anno precedente. E arrivare in poco più di un anno, grazie alla collaborazione delle forze dell’ordine, alla svolta con gli arresti di ieri.
Teresa Pittelli