“Slow Food è un’associazione internazionale non profit impegnata a ridare valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali”. Questa è la frase che sta in testa al sito Interne di Slow Food e da questo voglio patire per il mio breve intervento.
Tutto ruota intorno al cibo e Slow Food, non ha come riferimento le ormai diffusissime trasmissioni televisive in cui la preparazione del cibo assume solo un aspetto spettacolare. Il binomio donna –cibo rischia di diventare ovvio e banale mentre invece dobbiamo riflettere che il legame tra le donne ed il cibo precede anche la relazione con il cibo che sta fuori da esse: perché le donne si fanno cibo con l’allattamento per i propri figli, ed un tempo anche di figli di altre. Il binomio collega le donne non solo, genericamente, con il cibo nel momento del pasto, ma anche con le fasi precedenti: l’agricoltura, la pastorizia, la trasformazione delle materie prime in alimenti culturalmente appropriati, la conservazione delle sementi.
E’ fondamentale incontrare i trasformatori, i contadini, gli allevatori, i tanti che come le donne che si occupano di ristorazione, cercano di fare il meglio possibile, quanti lavorano con impegno grande e contribuiscono a preservare la biodiversità, valorizzare il territorio in cui vivono, migliorare la vita di chi sta loro intorno.
Detto questo vorrei brevemente fare una breve riflessione: da una inchiesta di qualche anno fa ad un campione di uomini e a un campione di donne, si chiese quali erano le caratteristiche più importanti che dovevano avere le sementi. Mentre gli uomini risposero sull’importanza quantitativa (la resa, il peso) le donne misero in evidenza che l’elemento più importante era il fatto di consentire un raccolto tutti gli anni. La saggezza femminile che ha contraddistinto per millenni l’agricoltura tradizionale e familiare sta proprio in questa visione: quella della riproduzione del mantenimento della biodiversità e degli ecotipi che ogni territorio ha e che dovrebbe custodire gelosamente per la salvaguardia dell’intero pianeta. Altro che piante sterili imposte dalle multinazionali, piante che richiedono il ricorso ad insetticidi ed agenti chimici per mantenere alta la produttività. Con le dannose conseguenze nei disastri ambientali e nei cambianti climatici.
Terra Madre è il grande progetto di Slow Food che ormai dal 2004 opera in tutto il mondo e che si incontra ogni due anni a Torino. In Terra Madre si incontrano le comunità del cibo per confrontarsi e trovare soluzioni ai vari problemi.
A Terra Madre uno spazio importante lo svolgono proprio le donne ed in particolare quelle che vivono in territori più svantaggiati.
La mia visione di Slow Food ed il mio impegno sono legati a questo mondo, fatto di soprattutto di donne, che ancora resistono in territori difficili ed alle quali dobbiamo essere grati tutti per il mantenimento della vita e della biodiversità. Penso alle zone interne della Calabria, agli Appennini ed alle montagne. Ai luoghi che rischiano lo spopolamento totale se non si interviene con piccole azioni di sostegno delle economie locali e con il rispetto della terra e dei cicli naturali. Sapete che in Calabria ci sono 100 ecotipi di legumi, piante da frutto delle specie più rare, grani antichi, piante secolari di ulivi e di castagni, la più grande varietà nazionale di viti? Per il mantenimento di questa ricchezza data dalla biodiversità sono fondamentali le donne ed è con loro che bisogna stringere un patto prima che sia troppo tardi. La strategia del progetto degli “Stati generali delle comunità dell’Appennino”, il nuovo grande progetto di Slow Food sarà la cornice ideale per il riscatto dei territori spesso etichettati come marginali e che invece sono la nuova energia per tutto il Paese.
Marisa Gigliotti, referente Slow Food Calabria del progetto “L’Appennino che verrà”