Un libro su un doppio livello: le interviste alle operatrici dei centri di violenza calabresi, da un lato, la rivisitazione del mito di Medea dall’altro, per sfatare il racconto schiacciato sulla figura della ‘maga omicida’. E risalire a una figura ben diversa di Medea, autorevole e sapienziale, capace di prendere la parola come le donne devono fare, sempre di più. Ritrovare Medea. Dal mito ai centri antiviolenza: le parole, le storie (Rubettino) è il titolo del volume presentato ieri in un’affollata sala consiliare del Comune di Soverato.
A dialogare con l’autrice, Maria Procopio, presidente della Biblioteca delle donne di Soverato, psicologa e psicoterapeuta, impegnata nell’associazionismo femminista e scrittrice, c’erano Romina Ranieri, in rappresentanza del centro antiviolenza e casa rifugio Mondo Rosa di Catanzaro, e la giornalista Teresa Pittelli. A introdurre i lavori Ausilia Siciliano, vicepresidente della Biblioteca delle donne. L’incontro ha ripercorso il ‘viaggio’ interiore e fisico che una donna vittima di violenza compie dalla prima richiesta di ascolto, telefonica o di persona (nei casi più gravi le segnalazioni arrivano dai carabinieri o dal pronto soccorso), fino alla presa in carico dei centri antiviolenza e, nei casi di successo, alla rinascita con una nuova vita, libera dall’oppressione. “Il fulcro di questo mondo sono le relazioni, tra donne e operatrici, tra le operatrici stesse, tra i centri e le istituzioni e la rete territoriale: oltre alla liberazione della donna, infatti, le relazioni hanno l’obiettivo di mettere in discussione i cardini della società ancora incentrata su una visione patriarcale – ha commentato Procopio – ecco perché dico che sono relazioni politiche”.
Cruciali i nodi emersi dalla discussione: la trasversalità per status sociale ed età delle donne che chiedono aiuto – smentendo il luogo comune che la sopraffazione dell’uomo sulla donna, sopratutto psicologica, alligni solo nelle sacche di disagio sociale e in culture straniere; i “buchi” nella legislazione, come “il costante allontanamento della donna da casa, magari con figli piccoli, invece di allontanare il maltrattante, e una montante cultura della bigenitorialità a tutti i costi – ha spiegato Ranieri – che rischia di mettere in crisi le case protette dal segreto, anche dell’ubicazione”; l’involuzione seguita al periodo di lockdown pandemico e una mentalità delle nuove generazioni non sempre in linea con l’avanguardia di pensiero che nell’educazione sembra essere ormai acquisita. Filo conduttore di tante storie diverse delle vittime di violenza? La privazione della libertà.
Ed è allora proprio alla libertà, cominciando dalla libertà di prendere la parola per secolo negata, che il filo del racconto di Maria Procopio rimanda dall’inizio alla fine, ritrovando quella Medea libera da preconcetti e narrazioni ‘maschili’, la saggia, autorevole donna che invita a ristabilire relazioni tra generi libere dal predonominio e rispettose delle differenze. Da segnalare la reazione del pubblico, in gran parte femminile ma non solo, rimasto in rapito silenzio per quasi due ore ad ascoltare storie che interrogano non solo le protegoniste del libro ma, in termini di risonanza e messa in discussione, tutte, ma proprio tutte le donne.
Teresa Pittelli