Orrore a Reggio, la Procura: “Ginecologo fa abortire la sorella senza consenso”.

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Foto www.strettoweb.com

Un orrore senza fine agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria dopo il disvelamento dei particolari, oggi in conferenza stampa, dell’inchiesta Mala Sanitas condotta dalla procura reggina guidata da Federico Cafiero de Raho, che ha portato agli arresti domiciliari quattro ginecologi del reparto di ginecologia e ostetricia facendo scattare l’indagine a piede libero e la sospensione per un anno dall’attività professionale per altri sei medici e un’ostetrica. Drammatiche le vicende narrate nell’incontro di stamattina con la stampa dallo stesso procuratore e dagli uomini del comando provinciale della Guardia di Finanza che hanno svolto le indagini, coordinate dai pm Annamaria Frustaci, Roberto De Palma e Gaetano Paci (i video della conferenza stampa su strettoweb.com).

Un bimbo morto di meningite fulminante senza che fosse stato eseguito il tampone alla madre, un altro bimbo deceduto in circostanze sospette, un terzo neonato intubato in forte ritardo e “nelle vie digestive anziché in quelle respiratorie”, che oggi è invalido al 100% e la cui mamma – ignara di tutto – sentita in sede di sommarie informazioni ancora ringraziava i medici che secondo la cartella clinica “avevano fatto tutto quello che avevano potuto”. Sembra davvero un film thriller quello che emerge dalle carte dell’inchiesta, con la terribile aggravante – secondo l’ordinanza emessa stamane dal gip Antonio Laganà – del “silenzio condiviso” in reparto e anche nelle altre unità operative, in modo da “coprirsi” vicendevolmente (“impapocchiare” le degenti e le loro famiglie per “pararsi il culo” sono le parafrasi delle parole tratte dall’ordinanza riportate dal dispaccio.it). Non a caso tutti gli indagati sono accusati a vario titolo di falso ideologico e materiale, più distruzione, soppressione e occultamento di atti, ovvero delle cartelle cliniche che secondo la tesi dei pm, accolta dal gip, venivano “aggiustate” con cancellature, omissioni, false dichiarazioni, in modo che sembrasse tutto a posto laddove invece si erano verificati incidenti, errori o anomalie.

Ma è il presunto reato di procurato aborto senza il consenso della donna quello che desta più sgomento, tra le accuse mosse ai dirigenti medici coinvolti, soprattutto se si leggono le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche che hanno supportato le indagini. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Alessandro Tripodi, ginecologo attuale primario facente funzioni del reparto, ora ai domiciliari, nel giugno 2010 annovera tra le degenti ricoverate nel suo reparto anche sua sorella. Il sospetto di Tripodi è che il feto possa avere anomalie, anche perché la puerpera presenta poco liquido amniotico. Da qui il ginecologo assumerebbe in autonomi ala decisione di “farla abortire” nonostante sia lei che il marito vogliano cercare di portare avanti la gravidanza. Chiesto e ottenuto l’aiuto della collega Daniela Manunzio e del collega Filippo Saccà, sempre secondo gli inquirenti, Tripodi farebbe in modo che siano somministrati farmaci abortivi alla sorella senza che lei né il cognato se ne rendano conto, finché non interviene l’aborto. Non gli errori in sé, non la colpa medica, dunque, è oggetto di questa sconvolgente inchiesta reggina, ma un sistema di “omertà” nel coprirsi tra medici e operatori, nonché un atteggiamento di “freddezza e indifferenza” dei sanitari verso “il bene primario della vita”, che se non sfociano in tragedie produccono comunque gravi danni all’integrità psico-fisica di donne e neonati, come le “lesioni a parti intime e connotative” delle partorienti. Un nucleo di accuse che può rappresentare la leva per sconfiggere un muro di omertà spesso vigente nel sistema ospedaliero riguardo la violenza ostetrica, e del quale si attendono ora gli esiti giudiziari.

Teresa Pittelli

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