Partono le bici con i loro ciclisti, dopo una ricca e abbondante colazione con torte, biscotti, “pittenchiusi”, e tanto altro che le abili mani di cuoche e cuochi hanno infornato nei giorni scorsi per la grande occasione. Ci si rifocilla e ci si iscrive al percorso della nona tappa di Onda d’urto: MTB in alternativa sotto una pioggia battente ma il temporale sembra motivare i ciclisti ancora di più. Ancora qualche raccomandazione da parte degli organizzatori e poi tutti si portano sul lungomare per affrontare il primo tratto di percorso verso la vecchia linea della Ferrovia Calabra Lucana. Oggi non si gareggia, oggi non ci sono coppe o graduatorie, oggi si sta insieme per la voglia di farlo. Si sta insieme e si pedala in mezzo alla natura e alla storia di un comprensorio che ne ha da vendere di entrambe. In gruppo o in solitaria, i raiders affrontano i preliminari e il percorso quasi in modo zen. Li ho visti a tu per tu con la loro ruota, quasi in simbiosi. La controllano e la curano perché sanno bene che i dettagli, i particolari e la cura di essi li potranno portare lontano e se qualcosa non va come dovrebbe non perdono la calma, ma con l’approccio giusto riparano la foratura, insieme, anche se magari per qualche chilometro hanno viaggiato soli con se stessi.
E in effetti l’atmosfera di Onda d’urto richiama il “qui e ora” dei principi zen: vivere il momento prestandogli totale attenzione senza che i pensieri vadano indietro nel passato o avanti nel futuro. Molti di loro, soprattutto le donne, sembravano come spinte, una pedalata dopo l’altra, verso una meditazione controllata dal percorso, dal ritmo, dalla respirazione. Sembra quasi che la percezione del tempo sia dilatata come dilatati sono i polmoni durante quella salita o silenziosi durante quel tratto di antiche gallerie illuminate dalle lanterne della Naca di Davoli. In un fantastico “scambio” i lumini che hanno illuminato gli abeti della Naca ora schiariscono i tunnel e indicano la strada a ciclisti che forse non conoscono neanche la tradizionale processione del Venerdì Santo di Davoli. Non tutti conoscono Evelino e gli altri sanpetrini che hanno lavorato sulle lanterne per un anno intero e, quando gli organizzatori hanno chiesto loro di poterle utilizzare per il raid, sono stati ben felici di condividere un pezzo della loro antica tradizione con ciclisti provenienti da tutta la regione e non solo. L’impegno fisico e le difficoltà tecniche del percorso sono state affrontate da tutti gestendo la fatica e dominando la tentazione di mollare magari alzandosi sui pedali, concentrandosi in modo da canalizzare le forze sul presente e allo stesso tempo pregustando il momento di pausa.
Ammirare uno splendido panorama, godere di un tuffo nella storia attraverso le spiegazioni di Ulderico Nisticò, gustare un tipico murrunedu o dissetarsi mangiando un fico d’india offerto dalla pro loco di Petrizzi è il giusto compenso di una giornata come questa. E zen è stato anche l’approccio al temporale che ha colto i viaggiatori dopo la sosta di Petrizzi. Sicuramente rammaricati per l’evolversi delle condizioni meteo che hanno impedito la visita all’insediamento di Soverato vecchia, gli organizzatori – le associazioni Amici in bici e Cuccuruta estrema – sono stati impeccabili. Hanno pulito nei giorni passati il sito archeologico, hanno illuminato le gallerie e hanno dato assistenza a tutti dando la priorità alla sicurezza e al divertimento. Hanno voluto ringraziare tutti coloro che hanno permesso l’ottima riuscita di questa giornata iniziando dal Comune patrocinatore di Soverato e la sua Pro Loco, quella di Petrizzi, l’agriturismo Il Fico d’India per aver reso agibile un tratto di percorso, la cucina tipica de Al Fondaco, Il Centro Sportivo San Francesco, il Lido San Domenico, E-Bag e la proprietà de Il Borgo del Convento per aver permesso a tutti noi di ammirare le meraviglie della Pietà. Turismo sostenibile ed ecologico: questo il futuro di una terra vocata all’ospitalità.
Oreste Montebello (testo e foto)