“Oscura luce calabra”, nuovo libro di Mimmo Loiero e secondo della trilogia Calabria Ultra, è una sorpresa. Chi pensava che, sul filo della saga brigantesca della famiglia De Sordo, ne riprendesse in toto atmosfere, ritmo e contenuti si è trovato immerso in una realtà nuova – quella uscita dalla penna dell’autore – e al tempo stesso arcaica. Non è dunque un’altra storia di briganti, questa seconda opera dell’intellettuale, scrittore e attivista soveratese (per usare qualcuna delle varie definizioni che potrebbero descriverlo, accanto alla figura professionale di titolare di AdgraphissArt e Adg edizioni). Presentata nei giorni scorsi al lido Il Faro di Soverato, tra un pubblico attento e curioso, gli intermezzi musicali di Nino Alampi e la moderazione di Frank e Lucia Teti, la storia è ambientata nella seconda parte dell’800, in un periodo in cui in realtà non c’è più molto brigantaggio in Calabria, un fenomeno che ha avuto il suo apice nella prima parte del secolo, soppiantato da una temperie nuova: le aspirazioni rivoluzionarie per abbattere il regno dei “nuovi invasori” sardo-savoiardi.
I fatti narrati nel libro hanno tra i loro centri narrativi il tentativo rivoluzionario che prese piede nel maggio 1868 nella cittadina di Filadelfia (Vv), tentativo represso sul nascere per l’arrivo imprevisto di una truppa regia che non diede tempo ai congiurati repubblicani, tra i quali Ricciotti, figlio di Garibaldi, di organizzarsi e attendere i rinforzi che stavano arrivando da tutta la regione. “Pur se repressa subito, l’insurrezione armata in realtà preoccupò e scosse molto il potere del nuovo governo italiano, tanto da convincere il presidente del consiglio Lanza a convogliare nel paesino calabrese e nei suoi dintorni un consistente schieramento di soldati, richiamati dalla Sicilia e dalla Puglia”, ha raccontato Loiero entrando nel vivo del racconto storico. Arrestati e in attesa di essere tradotti nel “lager” piemontese di Finestrelle, incontriamo quindi il variegato mondo degli insorti, che sono “briganti” nel senso non letterale – come si è spiegato – ma contadini, morti di fame, “tamarri”, intellettuali come Giuseppe Giampà, direttore del giornale filo-repubblicano “La luce calabra”. Unico segno distintivo: l’essere vestiti tutti di rosso. Tra loro anche Vincenzo De Sordo, tornato dall’America figlio di quel Micu u Surdu co-protagonista del primo libro, Mistero Bizzarro, poi emigrato nel nuovo mondo.
E il fil rouge tra la storia della Calabria meno conosciuta e l’attualità, della regione come del resto del mondo sopratutto visto da Sud, torna nel paragone di Loiero tra questi “briganti”, o meglio ex briganti, e quelli che noi definiamo tutti “immigrati” senza distinguere il loro luogo di provenienza, il loro status di rifugiati o meno, le loro aspirazioni. Un giudizio sociale costantemente negativo a pesare sulle loro teste, dovuto alla loro appartenenza culturale e geografica, che fa il paio con lo stesso giudizio sociale che pesa ancora sui calabresi. “I tamarri volevano solo lavorare, mangiare decentemente, dare un futuro ai figli…magari essere rispettati…ma non è quello che volevano tutti? Allora i tamarri con i loro piedi sporchi e la faccia spaccata dal sole rappresentavano i bisogni dell’umanità”, è uno dei passaggi del libro letti e applauditi dal pubblico, nella lettura che ne ha fatto Francesco Bruni.
Ed è proprio da quella “rivoluzione fallita” che prende le mosse un’altra riflessione sul “quieto vivere” che spinse molti protagonisti o sostenitori del moto di Filadelfia (Mazzini compreso che aveva puntato tutto sull’insurrezione siciliana, secondo Loiero) a far buon viso a cattivo gioco (lo stesso Ricciotti Garibaldi aveva appena vinto in Calabria un appalto edile insieme ad Achille Fazzari). E così si fece strada la nuova organizzazione arrembante del potere sempre più accentrato nelle mani di pochi che si organizzavano per lo sfruttamento dei tanti, organizzazione socio-economica oggi al suo acme pur non avendo ancora noi visto la fine del processo. La lingua “franca” utilizzata nel libro, come l’ha definita Loiero, tra italiano e dialetto, da modo ancora di più al lettore di tuffarsi in quell’angolo di storia patria e storia calabrese, e uscirne ancora una volta arricchito e spaesato.
“Una bella serata. Una buona discussione. Tanta bella gente. Grazie a Frank e Lucia, Luna, Lara, Nino e Sestilia, ad Antonio (Pittelli, che messo a disposizione alcune delle sue installazioni, ndr), Francesco e a Mery, allo staff del Faro per l”ospitalità e l’ottimo aperitivo, al media e ai tantissimi amici che sono intervenuti. Mi spiace per chi non è riuscito a partecipare e vi aspetto alle prossime presentazioni”, ha concluso Loiero annunciando quindi a breve nuove uscite pubbliche per parla
re del libro, che non mancheranno di far discutere e riflettere il pubblico.
Teresa Pittelli
Complimenti Teresa. Sei riuscita in poche righe a raccogliere ed esprimere non solo la sintesi del mio romanzo ma anche il senso politico delle diverse “questioni” (non solo calabresi) che Oscura Luce Calabra tenta di mettere in evidenza.