Montauro (Cz), perché un parco giochi proprio qui? Menniti, patron di H&B, si racconta.

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Domenico Menniti e Leo Procopio
Domenico Menniti e Leo Procopio

Un parco giochi davanti al mare che non sarà solo uno spazio per scivoli, altalene castelli e arrampicate per i bimbi, ma un luogo di aggregazione per tornare a essere comunità, a parlare tra di noi. Dalla comunità nascono poi le idee per risollevare le nostre sorti sociali, prima che economiche, e mettere in moto quel treno che in Calabria non è mai più partito da molti anni e che si chiama turismo, che si chiama eccellenza ortofrutticola, che si chiama enogastronomia. Parole di una semplicità elementare, come semplice ed umile è il suo atteggiamento – una caratteristica che accomuna sempre i veri “grandi” – quelle di Domenico Menniti, amministratore delegato del notissimo brand internazionale Harmont & Blaine, abbigliamento informale di lusso caratterizzato dal celebre logo del “bassotto”. Menniti è napoletano d’adozione ma nato e cresciuto qui, dove ha lasciato un bel pezzo di anima e dove ritorna appena può, nella sua casa-buen retiro tra Montauro e Pietragrande. Tanto che ha accettato subito di buon grado la richiesta di Leo Procopio, sindaco di Montauro, di finanziare il parco-giochi e riqualificare all’insegna dell’aggregazione familiare l’area nord del lungomare. Alla cerimonia presenti anche il vescovo Mons. Vincenzo Bertolone che ha tagliato il nastro insieme a Menniti e alla sua mamma, un nutrito drappello di sindaci del comprensorio, da Satriano a Montepaone, il presidente della provincia Enzo Bruno, il consigliere regionale Arturo Bova e il massimo rappresentante della Compagnia dei carabinieri, il capitano Saverio Sica.

Il taglio del nastro
Il taglio del nastro

“Sono nato nell’agiatezza, mio padre a Isca sullo Ionio faceva l’avvocato ma avevamo anche molta terra. Tutto cambiò in un attimo, però, quando lui morì prematuramente lasciandomi appena adolescente”. Un trauma enorme che il giovane Domenico, Mimmo per amici e familiari, si porta dentro anche quando la mamma, felicemente risposatasi in seguito, ricostituisce un sereno e sano nucleo familiare intorno al ragazzino, trasferendolo a Napoli. “Una cosa che mi ha salvato è stato lo sport: ho praticato la pallacanestro a Catanzaro fino al V° ginnasio e poi a Napoli dove sedicenne ho esordito in serie A – racconta Menniti – ottenendone soddisfazione, sana competizione, insegnamento”. Un mix che nella vita gli è servito, visto che praticamente dal nulla ha creato insieme ai fratelli e alcuni soci una delle griffe made in Italy più apprezzate a livello internazionale, presente in settanta paesi nel mondo, con 600 dipendenti diretti e oltre il doppio di indotto, in attesa di quotazione in borsa.

La targa a memoria dell'avvocato Giuseppe Menniti, papà di Domenico
La targa a memoria dell’avvocato Giuseppe Menniti, papà di Domenico

“I fondi di investimento stranieri che hanno chiesto di entrare nel capitale societario si stupiscono della nostra ferma volontà di restare in Italia. Alle loro domande io spesso non so opporre un solo argomento, dalle tasse ai servizi, dal costo del lavoro alle infrastrutture: tutto sembra marciare contro noi imprenditori, e qui al Sud questo è amplificato dalla preponderanza di un settore pubblico attraverso il quale spesso si è pensato di creare posti di lavoro-ammortizzatori sociali, con il micidiale metodo delle amicizie clientelari”, osserva Menniti, secondo il quale “è fondamentale mantenere gli investimenti italiani in Italia prima ancora che pensare ad attrarre investimenti esteri”. “Tutto questo adesso è finito: la p.a. non può più assumere: dobbiamo rimboccarci le maniche noi, e sia che si viva a Montauro, sia che si viva a Napoli o a Milano, cominciare a inventarci da soli la nostra salvezza, a investire sulla nostra formazione e creatività, senza più sperare in posti pubblici o scorciatoie, iniziando a pulire il nostro uscio di casa”, è l’appello di Menniti. Che proprio alla memoria di quel grande e rimpianto papà, l’avvocato Giuseppe Menniti, ha voluto intitolare il nuovo parco giochi, dedicato “ai giocattoli più semplici, quelli che anche il bambino più piccolo riesce a usare, e che vengono chiamati nonni”. Quel nonno che le sue figlie non hanno potuto conoscere, quel nonno che i suoi nipoti hanno la fortuna di avere.

Teresa Pittelli

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