Peggio vivere di rimpianti o di rimorsi? La risposta, se c’è, ovviamente non è quella giusta ma l’interrogativo rimane sospeso mentre cala il sipario su “Amore”, la commedia di Spiro Scimone con la regia di Francesco Sframeli rappresentata al Teatro Auditorium dell’Università della Calabria nell’ambito della stagione teatrale curata dal Centro Arti Musica e Spettacolo. In scena compare l’Amore asimmetrico di un’anziana coppia di coniugi (lei lo accudisce, lo accarezza, lo desidera ancora, mentre lui è stanco, apatico. Davvero la desiderava? Non lo ricorda più) che si specchia nella relazione clandestina di due uomini ai quali i ruoli e le convenzioni sociali inibiscono sentimenti e pulsioni. Sul palco si alternano Scimone, Gianluca Cesale, una intensa Giulia Weber e lo stesso Sframeli.
È un giorno qualunque, di dialoghi di routine e di ricordi, che però ha il sapore amaro della fine di tutto. La scena è spoglia, essenziale: due lapidi che diventano talami nuziali, due cipressi stilizzati sullo sfondo. I due vecchi sposi si parlano con tono monocorde, un ping pong di domande e risposte. Cantilenanti e ripetitivi come diventano i dialoghi quotidiani tra vecchi coniugi. Resta sottintesa una quotidianità che non prevede nessun altro, a parte lei e lui. Riti che stanno a guardia della rassicurante, se pur grottesca, vita coniugale giunta nei pressi del capolinea della vita. Il cambio del pannolone (“E’ asciutto?” Chiede apprensiva lei – “Ma perché vuoi sempre cambiarmi il pannolone?” replica lui infastidito da tanta amorevole oppressione). Irrompe sulla scena – e scorre parallela alla loro tutta incardinata nei cliché della famiglia italiana – la storia d’amore dei due pompieri incaricati di intervenire per spegnere i fuochi dell’altrui passione e condannati invece a tenere sempre spenta la propria, nascondendo dietro l’apparente virilità di una divisa la loro omosessualità. L’incursione è esilarante, ma si ride e si riflette.
La loro è una lunga storia d’amore mai vissuta, consumata fugacemente in clandestinità dietro un’autobotte. Una repressione che costa a entrambi tanto dolore, solo alla fine – alla fine di tutto, cioè su una fredda lapide – troveranno il coraggio di vivere questo Amore senza paura, sotto le lenzuola. Le due coppie dialogano: gli anziani coniugi con la scia che rimane del loro amore giovanile (“amore, amore, amore” la parola è quasi un intercalare che spesso – come accade alle coppie che smettono di chiamarsi per nome – ha perso significato) invitano a godere e ad assecondare i propri desideri. I pompieri, frenati dai tabù, avanzano e retrocedono. Si sfiorano e poi si irrigidiscono. Una sfida senza vincitori, in cui i due vecchi coniugi possono almeno contare sul ricordo (più nitido per lei, in verità) di una passione che ardeva, incendiava le lenzuola e i loro corpi che oggi trascinano stancamente su vecchie ciabatte. I due pompieri innamorati, rischieranno di morire di rimpianti, sfiorandosi quelle mani a cui avrebbero invece potuto aggrapparsi a lungo. Quando le luci si abbassano, gli applausi sono convinti, ma qualcosa sfugge. La domanda resta sospesa: meglio morire di rimpianti o di rimorsi?
Benedetta Caira