– E tu?
– E io non ho reagito perché avevo paura che mi facesse più male
– Ma tu ricorda che hai un’arma più potente dei pugni.
– E qual è?
– Sono le parole. Con le parole puoi colpire, ferire, lasciare senza fiato.
– Con le parole?
– Per esempio, la prossima volta potresti dirgli che lui usa la violenza perché non è in grado di dire quello che pensa e che sarebbe più forte se dimostrasse di saper dialogare con te, un pugno lo possono tirare tutti, ma saper affrontare le persone è un’altra cosa.
Ecco, gliel’ho spiegata così. Ma non so se l’ho convinta. Non lo so perché di fronte all’arroganza non sono convinta neanche io che dare un pugno non sia la cosa giusta da fare. Calma, calma. Contiamo fino a….Ma quelli che giocano a tamburelli sulla spiaggia, ad esempio, e colpiscono la pallina come se fossero a Wimbledon. E la pallina ti sfiora. Poi ti colpisce. E loro anziché chiedere scusa fanno finta di niente. E tu li fissi con gli occhi dell’odio e le narici che fumano. E loro continuano. Oppure quelli che mentre tu sei in macchina, diligentemente in coda, superano la fila spocchiosi, ti guardano pure con sfida e si dileguano indenni. Non si fa, ma ti auguri di vederli spiaccicarsi contro il primo muro, e vaffanculo.
-E quindi con le parole posso battere tutti? Mamma ma se qualcuno mi picchia non devo reagire? E nemmeno se mi spinge? Le rispondo che è così, ma mi fa un po’ male. Perché rifletto sull’arroganza, sull’ignoranza molesta, sul narcisismo che ci circondano, ci stuzzicano, ci provocano. Basterà insegnare ai nostri figli a dialogare, ad opporre agli spintoni degli altri delle parole, sia pure esatte, precise, taglienti? Non è che gli mettiamo in mano strumenti con la punta troppo fragile come la correttezza, il rispetto, l’educazione? Noi che raccogliamo piccoli pezzetti di plastica da mettere nel bidone della differenziata e poi osserviamo impotenti i ragazzini svuotare le cassette della posta e lanciare in aria i volantini pubblicitari, così, per gioco. Che i granchi li mettiamo nel secchiello per osservarli ma poi li riportiamo sugli scogli. Insegniamo a chiedere “per favore”, a dire “grazie”, “buona giornata” ai nostri bambini a cui molti adulti si rivolgono con indifferenza. Noi che crediamo che le persone non si giudicano da quello che hanno, che la bellezza non è nella perfezione. E poi sulla spiaggia c’è chi chiama “ciccione” un bambino che mangia felice un gelato, così, tanto per far ridere le ragazze che ha intorno. E tutto vacilla.
Certo che lo so che siamo noi dalla parte giusta, che diamo il nostro contributo per un futuro fatto di persone migliori e blablabla. Non ci sono regole o istruzioni per fabbricargli degli scudi che li proteggano lì fuori, ma io ho sperimentato sulla mia pelle quanto la sensibilità rende vulnerabili (fragili, emotivi, in qualche caso deboli o muti) e mi auguro che le mie figlie crescano anche con una sana dose di cinismo, che sappiano sempre anche arrabbiarsi e reagire. Insomma, devo ancora capire.
– Mamma tu sai questo segno cosa vuol dire? – E mi mostra il dito medio alzato. Ecco. Sì che lo so, e quando le parole proprio non bastano tu usalo, ma senza chiedermi il permesso.