Le ragioni del totano: sprecare la “vita” per comprare. Ma la terra non vive di Pil.

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Mimmo Loiero
Mimmo Loiero

Le ragioni del totano. Note su sviluppo, sostenibilità e decrescita

A sfogliare le gazzette o a seguire i talk-show politici in questi giorni di battaglie all’ultimo voto, sembrerebbe che i problemi dell’economia italiana (piccolo paradigma dei problemi economici del mondo) si chiamino Spread e  Pil come fossero personaggi dei cartoon. Solo qualcuno azzarda quel nome dal suono stridulo e orribile Stagflation, un ossimoro che come tutti sanno raccoglie le parole stagnazione ed inflazione ed ha il significato atroce di morire di fame per aver troppo danaro.

Nessuno, comunque, se ne fotte del totano. Eppure le ragioni del totano, qui nominato quale rappresentante ufficiale non solo delle creature che vivono nel mare blu, ma anche della totalità delle risorse, sono importanti per il totano e pure per la specie homo, forse non più tanto, sapiens. Perché entrambi, l’homo e il totano, sono parte di un equilibrio delicato con cui abbiamo scherzato fin troppo e che oggi dobbiamo riconsiderare con maggiore attenzione.

Non che il totano non sia stato sufficientemente oggetto di attenzioni da parte della specie homo. O meglio da parte dell’avidità smisurata della specie homo. In quanto risorsa (alimentare e rinnovabile ciclicamente) è stato parte importante della politica o meglio della strategia delle risorse che per millenni, praticamente fino all’altro ieri, è stata semplicissima:  prendo tutto quello che posso anche se potrei farne a meno, anche se non ce la faccio a consumarlo. Come se le risorse di madre terra fossero inesauribili. E qui scatta la prima forte contraddizione. Perché al contrario della strategia citata, i comportamenti dell’homo nei confronti della terra, madre e origine di tutte le risorse, finora è stato improntato al più bieco pessimismo ed alla paura ossessiva che le risorse fossero sempre li li per finire. Che quindi bisognava accumularne in fretta e furia, quanto più possibile.

Non è questa in fondo l’origine delle guerre? E l’origine della politica? Non è qui che nasce la destra e la sinistra? La destra, quella vera non quella del coniglietto di Arcore, che cerca di difendere la proprietà delle risorse e di conquistarne altre predando nuovi territori, e la sinistra, quella di una volta, che propone invece una distribuzione più equa e uno sfruttamento più razionale che eviti gli sprechi? E sugli sprechi casca a fagiolo la seconda grande contraddizione. Perché da una parte l’homo suda sette camice e commette i delitti più orribili per aumentare fin che può le sue risorse ma poi è costretto a gettarne via un bel po’ perché più aumenta la disponibilità e più cala il valore e quindi la ricchezza. Si dice che è una legge di mercato. Antica. Il che significa, per chi ancora non lo avesse capito, che siccome chi fa le leggi comanda, l’homo più cretino che sapiens, alla fin fine, si lascia comandare dal mercato. E questo era vero quando l’homo si faceva le pipe levigando le pietre, così come è vero oggi, all’alba del terzo millennio, che le pipe se le fa  elettroniche. E ciò significa che quasi tutte le ciance elettorali sui signori Spread, Pil e perfino su mr Stagflation servono forse a qualcos’altro ma l’economia,  è comunque basata ancora sulle risorse di madre natura.

E quindi sulla pelle del totano. Almeno per una parte. Per l’altra è basata sul lavoro. Perché le risorse naturali per poter essere usate come cibo, come energia, come protezione, come medicina, come vestito, come libro, hanno bisogno di essere trovate, estratte, coltivate e poi trasformate, conservate custodite etc. Quindi è solo il lavoro che feconda la natura rendendola madre. Come sosteneva qualche secolo fa il buon vecchio Carlo da Treviri. Il mondo funziona così con un sistema sperimentato e rodato da millenni di uso. Una minoranza ristrettissima dell’umanità possiede tutte le risorse naturali e tutte le macchine per lavorarle e tutte le armi per difenderle. La grandissima maggioranza dell’umanità possiede invece soltanto la capacità di lavorare e il proprio tempo di vita che è costretto a cedere a chi possiede le risorse, in cambio del necessario per mangiare dormire coprirsi e se va bene qualche volta vedere una partita di calcio o un reality show alla televisione. Qualcuno che proprio ha un buon lavoro, riesce perfino a cazzeggiare su facebook…

Questa è l’economia. E i soldi allora? La pecunia? I danè? I sghei? La pila? Il contante? L’argent? The money?  Non sono niente i soldi? Abbiamo solo detto che l’economia è basata sulle risorse naturali e sul lavoro, ma dei soldi non se ne può fottere proprio nessuno. Neanche il totano. Perché, sul nostro pianeta, di danaro si vive e di danaro si muore ed il danaro è diventato il vero deus (ex machina) che muove gli eserciti, spiana le montagne, desertifica le pianure e fa rinverdire i deserti, guarisce gli storpi, fa rinascere i moribondi ed è padrone della vita di tutti perfino di quella del totano, se è vero come è vero che con i soldi si comprano anche grandi reti a strascico e potenti pescherecci d’altura, oltre che la padella. E dire che all’inizio, quando ancora si chiamava pecunia,  il danaro non era che il ritratto di una pecora. Perché uno che possiede un gregge di pecora (o terreni, mucche e cavali o magari anche una miniera di uranio) non se ne può andare in giro per il mondo portandosi appresso il suo patrimonio e rischia magari di morire di fame pur possedendo un intero gregge. Se non ci fosse il denaro. Allora invece della pecora si porta appresso dei tondini di oro su cui  è incisa una pecora, cioè un segno, un simulacro, un feticcio della pecora e se vuole mangiare gli basta scambiare quel feticcio con una pecora vera. Chi gli dà la pecora sa che andando un giorno o l’altro da lui e presentando il simulacro può avere di nuovo in cambio una pecora.

Così succedeva all’inizio dei tempi  e il danaro, all’inizio della sua carriera, era questo: una metafora, un feticcio, un alias che serviva a rappresentare temporaneamente la proprietà di risorse naturali, di macchine ed attrezzi o di schiavi. E’ solo col passare di secoli e millenni che il simulacro, come il dott Jeckill,  si trasforma  e, mentre dal punto di vista della materia, diventa sempre più diafano fino  a sparire passando da oro o argento a carta ed infine a semplici numeri sul monitor di un computer, dal punto di vista del valore cessa di rappresentare le pecore e rappresenta se stesso aumentando di dimensioni come un pallone aerostatico fino a quando, novello golem, da servo diventa padrone e minaccia addirittura l’esistenza dell’umana specie. Il mago che gli ha dato tanta forza è il banchiere e la formula magica è una semplice frase che per i più non significa niente: riserva frazionaria. Un concetto semplice ma potente come una bomba atomica. Significa che siccome è improbabile che tutti coloro che depositano il denaro in banca ne richiedano la restituzione nello stesso momento, alla banca, per soddisfare le richieste, basta tenere come riserva solo una frazione di quanto il cliente ha depositato, circa un decimo. I nove decimi restanti può imprestarli con un lauto interesse tante e tante volte, quasi all’infinito. Come dire che il denaro crea altro denaro senza bisogno di lavoro o di altro, e senza soluzione di continuità.

Oggi il denaro virtualmente esistente nel mondo non rappresenta più semplicemente le pecore (e le capre e le macchine, e gli aerei, cioè il PIL mondiale) ma, dello stesso Pil, è migliaia di volte di volte più grande. Tanto che, se solo una minima frazione dei clienti delle banche richiedesse di avere materialmente tutti i soldi di sua proprietà, fallirebbero tutte le banche del mondo perché la maggior parte dei soldi non sono disponibili come cartamoneta ma solo come numeri nei computers. La grande crisi finanziaria che sta combinando tanti disastri nasce da questo pallone gonfiato troppo. Ma allora sono i soldi il vero motore dell’economia? No e poi no. E per esserne sicuri basta una semplicissima controprova. Abbiamo citato fino ad ora tre fattori: i soldi, il lavoro e le risorse naturali. Proviamo a toglierli uno alla volta e vediamo che succede. Se togliamo le risorse e restano i soldi ed il lavoro il mondo finisce perché la vita è impossibile senza risorse non c’è niente da lavorare. Così avviene se togliamo il lavoro, senza lavoro le risorse non possono essere utilizzate. Se togliamo i soldi invece non succede niente. Gli uomini possono trasformare le risorse e consumarle per mangiare, dormire, vestirsi etc. Certo sarà bene che trovino anche un sistema per distribuire secondo le necessità la  parte di risorse che servono ad ognuno, ma alla fine, risolto questo semplice problemino, si troverebbero molto meglio di prima.

Ora torniamo alle risorse. Che, lo ricordiamo, sono costituite dai quattro elementi: la terra l’acqua, l’aria e l’energia e quindi da tutto quello che  questi elementi producono. Abbiamo lasciato l’homo sapiens dilaniato dalle contraddizioni e in preda alle leggi del mercato. Da una parte spende e spande le risorse come se fossero inesauribili e dall’altra cerca di arraffarne quanto più possibile, anche a discapito degli altri uomini e di quelli delle generazioni future, come se non ce ne fossero abbastanza. Da una parte cerca di accumularle per aumentare la propria ricchezza e dall’altra le distrugge perché se sono troppe, cala il loro valore. E’ evidente che, a lungo andare, tutto questa situazione e questo disordine creamo spreco e impoverimento delle fonti delle risorse. Creano anche la proliferazione abnorme dei rifiuti e quindi la perdita di qualità e perfino l’avvelenamento delle stesse risorse e dell’ambiente in generale. Creano nuovi concetti di sconquassi terrificanti e fantascientifici come buco dell’ozono e riscaldamento globale.

Quindi spreco, degrado e grandi sofferenze. Ed il rischio di rovinare madre terra per sempre. Ma, come tutti sanno, l’umanità è in grado di sopportare le cose peggiori, soprattutto se dietro c’è una grande motivazione, un grande obiettivo. E quale è questo grande motivo? La pace mondiale forse? No di certo. L’uso rapinoso delle risorse, promosso ed obbligato dalle leggi di mercato, genera conflitti di ogni tipo in ogni dove. Addirittura le guerre funzionano da acceleratori del processo: distruggono le risorse e quindi obbligano a ricostituirle trovando nuove fonti e nuove tecnologie che espandono le capacità di sfruttamento, distruzione e rapina. E allora, forse, la fine della miseria e della fame E’ questo l’impegno nobile la grande motivazione che ci fa sopportare tanta sofferenza?

Tutt’altro. Le leggi di mercato che abbiamo ampiamente citato, per conservare il valore della proprietà delle risorse disponibili, obbligano alla distruzione di una parte cospicua di esse. Si calcola che, attualmente, almeno la metà delle risorse alimentari prodotte nel mondo, viene distrutta, mentre milioni di persone muoiono di fame e miliardi vivono di stenti quando solo una minoranza soffra invece di malattie provocate dal consumo abnorme e disordinato di cibo. Non la pace mondiale quindi e nemmeno la fine delle povertà e della fame. Sarà il paradiso e la vita eterna? Ma oramai a questi sogni non ci crede più nessuno. E comunque non è per guadagnarci il paradiso che sporchiamo il cielo e la terra, che avveleniamo le acque e distruggiamo gli animali. No!  E’ solo una questione di PIL. Della necessità, anche questa dettata da leggi di mercato, di avere un PIL sempre più grosso e non solo più grosso in assoluto, che se uno si guarda indietro è certo che il suo Pil negli ultimi 10 anni è più o meno cresciuto. No bisogna averlo più grosso degli altri che se no ti fottono. E’ sempre la legge di mercato! Se non ci avessero convinti che un Pil grosso è indispensabile, potremmo pensare che serva solo a prenderci per i fondelli…Qualcuno dice che questa visione oramai è superata. Tipica di un mercato spezzettato, locale, eredità del nazionalismo del novecento. Era il frutto malvagio di tanti mercati in concorrenza tra di loro con tante strategie di utilizzo delle risorse…

Fermi tutti! Arriva il mercato globale! Arriva la strategia globale delle risorse! Arriva lo sviluppo sostenibile! Belle parole! Concetti geniali! Finalmente! Diceva Vasafemmene, furbissimo ed un pò squallido gagà della costa Jonica negli anni sessanta: “Se vuoi fottere le femmene, riempile di belle parole!” Qui le belle parole non mancano, ma stringi stringi, Mercato globale non vuole dire niente di nuovo, tranne la vecchia feroce determinazione delle multinazionali di far fuori, magari per legge, alla faccia della libera concorrenza, le produzioni locali. Il mercato è sempre stato globale. Strategia globale delle risorse invece vuol dire molto. Soprattutto che i grandi monopoli mondiali, dopo avere rapinato il petrolio e i metalli ora vogliono rapinare l’acqua e tutti gli alimenti (vedi i brevetti sulle specie animali e vegetali e la questione degli OGM e la questione dell’acqua mondiale).

Sviluppo sostenibile è un suggestivo ossimoro di propaganda. L’aggettivo sostenibile vorrebbe descrivere un utilizzo delle risorse coerente con i cicli di riproduzione naturali ma è un termine che fa a botte con la parola sviluppo che rimanda alle dimensioni del Pil e alle famigerate leggi di mercato. Certo il fatto che tutto queste belle parole provengano dal gruppetto di banchieri più potenti del mondo, dai padroni del dio denaro che a sua volta comanda il mondo, dovrebbe farci riflettere. O quantomeno dovrebbe farci riflettere l’esordio di questo governo mondiale che come abbiamo duramente imparato, si è occupato innanzitutto della questione dei soldi (essendo fatto da banchieri era naturale) ed ha provocato questa crisi finanziaria, un disastro peggiore delle due guerre mondiali messe insieme. E allora l’Agenda 21, la governance, il partenariato, la partecipazione? E’ indubbio che a partire dalla uscita del Rapporto sui limiti dello sviluppo promosso dal Club di Roma di A. Peccei, si stia facendo strada una consapevolezza maggiore sull’uso delle risorse e quindi sul rapporto tra la specie umana e madre terra, in pratica tra l’homo e il totano.

Una consapevolezza che con la Teoria della decrescita sta giungendo fino ad aggiungere al Pil come indice di benessere altri indici quali l’impatto ambientale, l’impatto sui diritti delle generazioni future, gli indici di di riproduzione relativo alle risorse rinnovabili ciclicamente. Ma il problema è che, finora, l’homo non vuole solo mangiarsi il totano cosa che per il totano non è poi così strana e terrificante, in fondo sacrificare la propria vita per la sopravvivenza di altre vite è una legge di natura, ma vuole commerciarlo e quindi usarlo per sfruttare altri uomini e costruire sulla sua (del totano) pelle potere e ricchezza; oppure vuole pescarlo e poi distruggerlo per non fare abbassare il prezzo. Questo il totano non può proprio sopportarlo.  Al totano le leggi di mercato non sono mai piaciute e del Pil piccolo o grosso non sa proprio che farsene.

Mimmo Loiero

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