La storia di Silvia Tassone, morta a 11 anni e “rinata” in cielo per dare speranza.

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Silvia Tassone
La copertina del libro

Questa è la storia di Silvia, una bambina bionda, solare, da sempre un po’ angelica visto che si definiva innamorata di Gesù fin da piccola, che a nove anni si ammala di osteosarcoma e a undici muore. Oppure no. E’ la storia di una famiglia, è la storia di due genitori, un fratello, Edoardo, e un fratellino nato dopo la morte di Silvia, Tommaso, che sembra conoscerla molto bene. O forse, ancora, è la storia di tutti noi, quando ci confrontiamo col dolore e la mancanza di senso. E invece poi, se accettiamo di percorrerla fino in fondo, capiamo che quella è la via per la verità. Per un cambiamento di noi stessi che è l’unico senso possibile. Una storia che nelle scorse settimane ha conquistato le copertine di settimanali e di testate nazionali e regionali, in concomitanza con l’uscita del libro E’ nata! Una luce di nome Silvia, disponibile alla libreria Incontro-Mondadori di Soverato e su Amazon (info sul sito www.unalucedinomesilvia.it).

Siamo in Calabria, a Soverato (Cz), in una famiglia credente e unita, nel febbraio 2006. La piccola di casa, Silvia, molto esuberante, allegra e chiacchierona, è impegnata con i balletti a scuola in preparazione del Carnevale. Ma quando torna a casa accusa un dolore vicino al ginocchio. Non sarà niente. Crede di aver sbattuto a un banco. Basta invece una visita all’ospedale cittadino perché Silvia si ritrovi nel giro di pochi giorni con mamma e papà su un aereo diretto a Milano, per approfondimenti che portano a una veloce diagnosi: Silvia ha un sarcoma di Ewing. “Tutto ciò che normalmente sembrava importante nella vita all’improvviso diventò banale e ridotto a una giusta dimensione. Nella scala dei valori la fede prese il primo posto, e l’importanza di abbandonarsi a essa” raccontano Elena Apicella e Vito Tassone, i genitori di Silvia, che ci hanno concesso questa intervista accogliendoci nel calore della loro casa sotto le feste. “E’ difficile trovare in una malattia gioia, serenità, divertimento, e invece una bambina come Silvia, con la sua straordinarietà, rese realizzabile tutto questo e diventò il motore della nostra forza, della nostra pace, di un viaggio al centro della nostra fede”, ricordano Elena e Vito.

SILVIA “LA ROCCIA”. Silvia all’I.n.t. (Istituto nazionale tumori) di Milano diventa subito un mito. In reparto la chiamano “la roccia”. I capelli? “Ricresceranno, l’importante è guarire!” Le terapie? Vissute a volte cantando, altre addirittura ballando. Le stampelle? Sono un gioco, purché le siano cambiate quelle nere “con un paio colorate”. Gli estenuanti viaggi a Milano? “Volare sulle nuvole è bellissimo!” Il gesso grosso e vistoso dopo l’intervento di avanguardia che le trapianta un pezzo di femore, anche con l’aiuto dell’autotrapianto di sue cellule staminali? “Farò la mia estate l’anno prossimo tanto questa sarà sicuramente fredda e piovosa!” E a intervento perfettamente riuscito, tanto da essere citato nei congressi dai chirurghi che l’hanno eseguito, Silvia si ritrova a partecipare all’estate della sua Soverato, ai giochi d’Eutimo vissuti con entusiamo in sedia a rotelle, finchè, tolto il gesso, prova finalmente l’ebrezza di correre sulla spiaggia di settembre. Silvia appare guarita. Ricomincia la scuola con entusiasmo. E il controllo di Natale è una festa perché sa che all’I.n.t. tra giochi, addobbi e personaggi dello spettacolo si fanno le cose in grande per allietare i piccoli ospiti. L’estate 2007, poi, sarà davvero quella buona per Silvia: tra nuotate a perdifiato e serate al lunapark, viaggi di famiglia e ancora mare, con i genitori a cercare di contenerne l’inarrestabile vitalità e voglia di divertirsi.

Un mondo colorato da mostrare a tutti!

LA CENTRALITA’ DI GESU’. Quando nel maggio 2006 Silvia aveva ricevuto la prima comunione, con in testa una meravigliosa cuffietta regalatale dalla mamma, a tutto pensava tranne che ai capelli. “Ero in apprensione immaginando le altre bambine agghindate con coroncine e boccoli e Silvia invece calva. Ma lei ha spazzato via ogni preoccupazione con la sua gioia profonda di ricevere Gesù”, racconta Elena. Una giornata di felicità totale, di comunione vera con quel Cristo che le era amico da sempre. Gesù infatti era protagonista di molte poesie scritte da Silvia fin da piccola, così come dei discorsi in cui la bimba ribadiva che c’era lui a guardarla, a giocare con lei.

IL DOLORE BUSSA ANCORA… Una notte di fine agosto Silvia accusa all’improvviso un forte dolore alla gamba. Per Elena e Vito si riaffacciano dubbi e incubi. Silvia non vuol mancare, pochi giorni dopo, all’appuntamento con il primo giorno di scuola media, tanto atteso. Ma è un sogno che s’infrange subito. Poco dopo essere entrata in classe ha febbre e dolore, dev’essere riportata a casa. Di lì a poco, da una scintigrafia, arriva la sentenza di una probabile recidiva.

Silvia Tassone

GIOIRE E’ RISORGERE. La tristezza di Elena e Vito emerge tra lacrime e preghiere in aereo, in albergo, e di nuovo al day hospital dell’I.n.t. dove il personale sperava di non rivedere ancora Silvia. Ma la bambina ammonisce i genitori: “Non si piange!”, e dopo essersi addormentata su un lettino, salta su riferendo di aver sognato Gesù che le diceva “che l’avrebbe tenuta stretta fino a che non avesse camminato di nuovo da sola”. Silvia è serena, gioiosa. Mamma e papà, invece, chiamati in disparte dai medici, vengono avvertiti di una recidiva violenta e di una diagnosi questa volta “infausta”. Silvia affronta le numerose sedute di radioterapia al rachide lombo sacrale, al femore e anche alla teca cranica con il suo solito piglio. Stringe rapporti fortissimi, rinsalda quelli che già aveva, come con la dottoressa Francesca, la sua preferita, condivide con personale, pazienti e volontari i manicaretti che si fa preparare dalla mamma perché “se non mangiamo insieme vuol dire che non ci amiamo”. Dopo aver riabbracciato Edoardo, arrivato a Milano molto provato dalla situazione, arriva il momento delle dimissioni, salutata da tutti con un dono, un pensiero, un ricordo.

L’albero di Natale di casa Tassone

SI TORNA A… CASA. Il mese trascorso tra il ritorno a casa e la morte di Silvia è ricordato da Elena come forse il più dolce e sereno. Silvia studia, disegna, realizza una marea di lavoretti natalizi da distribuire a parenti e amici, gioca con gli amichetti che la vanno assiduamente a trovare, soprattutto Umberto, con cui condivide anche semplici silenzi. Le difficoltà non tardano. Silvia ha bisogno di trasfusioni, i movimenti sono sempre più difficili a causa del corpo provato dalla malattia, ma lei dice – quando si prega tutti insieme leggendo il famoso passo Chiedete e vi sarà dato – “Io non ho bisogno di chiedere niente perché mi sono venduta a Gesù fin da piccola”. E raccomanda ai genitori di stare uniti perché “solo insieme si vince”. Il suo unico piccolo desiderio, infatti, è un ciondolo a forma di cuore con dentro la foto di tutta la famiglia.

Silvia vuole stare sulla sedia a rotelle, sotto il suo amato albero di Natale, e non a letto, nonostante il peggioramento delle sue condizioni. Una notte sogna un masso molto grande da spostare, oltre il quale vede un cancello dorato con gli angeli che cantano una musichetta che lei ricorda, e che il papà le incide su nastro, suonandola alla tastiera. L’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, alle 17.15, dopo alcune ore di sedazione per lenire le sofferenze dovute ai dolori e alla difficoltà di respirare, Silvia “rinasce in cielo”. E’ circondata dall’amore di mamma, papà, dei familiari. Don Tobia Carotenuto, allora parroco di Soverato, non fa mancare la profonda vicinanza dell’opera salesiana e va a prendere Edorardo in oratorio, dandogli la notizia con dolcezza e cautela. Nessuno si dispera. Si vivono ore di pace e preghiera. E quando, nel tempo a venire, dolore e mancanza si fanno sentire in modo straziante, ecco che la luce di Silvia indica la strada: la sofferenza come chiave per capire l’esistenza, cambiarla, mettere in giusta prospettiva “problemi” e “obiettivi”, capire che non abbiamo il controllo di nulla se non della nostra capacità di amare, comprendere la nostra missione su questa terra “e sovente anche quella futura, in cielo”, come scrive il papà di Silvia.

LE CICATRICI. “Le cicatrici di Silvia non sono state solo segni sul suo corpo ma adesso sono dovunque, intorno a noi, e attraverso Lei abbiamo la possibilità di avere una corsia preferenziale per la vita vera, quella che non delude e che porta diritta all’amore supremo che non finisce mai”, scrivono Elena e Vito alla fine del libro. “(…) Ecco che allora come dopo un terremoto, una foto diventa adorabile, un oggetto una reliquia, un nomignolo una password non solo per il pc ma per la vita e una tomba un altare, adorno di piccoli doni, pensieri, affetti (…) che inevitabilmente ripetono sempre la stessa parola: “Angelo”. E come potrebbe essere altrimenti quando nel cuore, nella mente e nei sogni compare quel sorriso sereno, quello sguardo amorevole e quella voce capace di chiarire dubbi in modo semplice ma molto sapiente, rassenerare chi teme le piccole quotidiane esperienze di vita”.

Ecco perché per Elena e Vito “raccontare come le cicatrici di Silvia si trasformano in atti d’amore” diventa un “imperativo categorico”. “Sgorgano spontaneamente dal Cuore di Gesù le testimonianze che la presenza salvifica degli angeli è vera e presente. Arrivano allora storie, casualità (direbbe chi non crede in Dio), i sogni e tutto ciò che non essendo comune è definito inconsueto, ma sempre di più con un senso profondo, profondo come il cuore di Dio”, scrivono ancora nel libro. “Vorremmo che questo fosse un libro contagioso, che regalasse speranza: non rinunciare a trovare in ogni esperienza quello che c’è di buono – concludono Elena e Vito Tassone – perché c’è sempre”.

Teresa Pittelli

 

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