“Il Cardellino” di Donna Tartt e questo “schifo” di mondo salvato dalla bellezza

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Un libro letto in ritardo (lo scorso inverno) ma che ha riempito letteralmente testa e cuore di emozioni legate all’infanzia, al sentimento di attaccamento verso i genitori e per me – che ora genitore lo sono – all’idea di quanto grande può essere l’amore di un bambino, e poi di un adulto, per una madre complice e affettuosa che pure lo ha cresciuto da sola e lavorando tutto il giorno. Theo Decker, ragazzino newyorkese cresciuto con la mamma, padre assente che ha infilato la porta di casa molti anni addietro, comincia a raccontare la sua storia dal momento in cui, giovane adulto, si è cacciato in un grossissimo guaio dalle tinte di un noir internazionale, con tanto di omicidio irrisolto e furto di opere d’arte. La mattina dalla quale comincia il racconto, però, è una tersa e fredda giornata di molti anni prima, quando tredicenne esce dal suo palazzo dell’Upper West Side con la mamma “alta e bellissima nel suo trench chiaro” per andare a scuola. Senza sapere che è l’ultimo giorno di vita di lei.

La perdita violenta e assurda dell’unica persona che lui ha al mondo fa da detonatore a un tormentoso senso di colpa, perché Theo si sente in qualche modo responsabile del modo in cui è morta sua madre, brodo di coltura di un dolore sordo e incompreso dalle truppe di assistenti sociali, poliziotti, amici di famiglia che entrano in scena. E poi dalla coppia papà-giocatore d’azzardo semi-alcolista e sua nuova compagna cocainomane, che ricompare dal nulla per portarlo con sé in quel nulla apocalittico delle periferia di Las Vegas. Qui Teo conoscerà l’inseparabile Boris in un apprendistato esistenziale a base di alcol, sigarette, furtarelli e immenso vuoto dentro al quale comunque conoscerà il vero senso dell’amicizia e diventerà grande abbastanza da scappare e tornare nella sua New York. Dove uno dei personaggi chiave del libro, legato all’indimenticabile momento in cui è morta sua madre e a “Il Cardellino” che da il titolo al libro, si prenderà cura di lui ridandogli fiducia negli adulti e negli affetti familiari, trasmettendogli la sua “arte” di restauratore di mobili e pezzi antichi, incoraggiandolo nei primi passi nel mondo dell’antiquariato.

In questa magica casa-laboratorio dove Theo ritrova un senso per ricomporre i pezzi sparsi della sua identità, in frantumi dal giorno maledetto della morte della mamma, il ragazzino ritroverà anche Pippa, la bambina che quel giorno ha condiviso il suo stesso destino, e che è una sopravvissuta come lui. Pippa diventerà il grande amore della sua vita, inseguita, persa e rincorsa per tutte le ottocento pagine del libro.  Fino a un finale non scontato e non consolatorio,  nel quale il “grande schifo” che è la vita per Theo diventa invece una possibilità di gioia, una scommessa che comunque vale la pena giocare, persino con una zampetta legata a un trespolo come Il Cardellino del quadro da lui tanto amato, simbolo di un’innocenza perduta e di una bellezza tale che, da sola, può salvare il mondo. Donna Tartt con questo romanzo, uscito a marzo 2014 per Rizzoli, ha vinto il premio Pulitzer 2014 nella sezione narrativa.

 

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