Un racconto piacevole e spesso intenso, talvolta sconcertante nell’ovvietà dei metodi di assunzione e carriera legati a filo doppio alla politica, quello dei 25 anni in Rai di Santi Trimboli, autore de La mia Rai di Luigi Pellegini Editore. La presentazione del volume è stata tra alcuni dei più interessanti appuntamenti letterari dell’estate soveratese, sulla terrazza del Hotel lido S. Domenico. A fare gli onori di casa Pietro Melia, già inviato Rai e collega-estimatore di Trimboli, con gli interventi di Ulderico Nisticò, storico e scrittore, dell’ex parlamentare socialista Saverio Zavettieri e di Luciano Greco, dg degli uffici scolastici di Cosenza e Crotone.
La premessa e insieme leit-motiv del racconto è che Trimboli riconosce la sua assunzione nel 1985, fortemente sponsorizzata da Riccardo Misasi (Dc), come lottizzata. Ma narra della lottizzazione come di un percorso in qualche modo buono rispetto al perverso sistema che sarebbe scattato di lì a una quindicina di anni, con l’avvento di un centrodestra pronto a occupare tutti gli spazi “ignorando il merito, l’impegno e il rigore”, come si legge nel volume. Un meccanismo, quello della lottizzazione, che derivava da una fede dichiarata a un’area politica facendo salvo l’impegno e il merito conquistati sul campo sia prima che dopo l’assunzione in Rai, nella concezione della professione e nel racconto da insider di Santi Trimboli. Che nel volume elenca una lunga serie di “lottizzati” arrivati in Rai in quegli anni, come fu anche per Pietro Melia, assunto dopo un già ampio percorso nella carta stampata “grazie ai buoni auspici di Saverio Zavettieri, all’epoca potente deputato del Psi di cui Melia è rimasto sempre amico devoto e fedele”, si legge nel libro.
Un’indulgenza, quella per il (discutibile) metodo della lottizzazione dei giornalisti Rai negli anni ’80, che Trimboli sembra riservare grossomodo anche a tanti cognomi d’arte entrati a far parte nei venti anni seguenti dell’organico dei giornalisti della sede regionale, da Giacoia a Martelli a D’Atri, riconoscendo loro, al di là di ragioni affettive e di stima nei confronti dei padri, anche meriti professionali. Mentre attraverso i tg che Trimboli ha contribuito a realizzare e poi a dirigere da vice-caporedattore scorre la storia di una Calabria che tenta di acciuffare il treno dello sviluppo, tra una cronaca nera che non lascia scampo alle illusioni (basta leggere i tanti pezzi di cronaca, dall’alluvione del 2000 di Soverato all’omicidio Fortugno nel 2005) e momenti di speranza, nel libro si narrano – e si leggono d’un fiato – anche i retroscena, le lotte interne, gli aneddoti e gli spifferi della grande politica che si consumavano in quelle stanze, prima a Cosenza e poi in viale Marconi a Rende.
Tra queste l’ascesa nei primi anni 2000 di Pino Nano, con la sua passione “per le apparizioni sulle reti nazionali” e la “costruzione del consenso” intorno alla sua figura di cronista di nera con rapporti strettissimi a Roma con il potente dg Agostino Saccà; e subito dopo l’inizio di quella che Trimboli chiama “occupazione” dei posti e degli incarichi apicali, frutto del consenso per il centrodestra berlusconiano arrembante; la sempre più stringente “cappa” di discriminazioni e piccoli grandi dispetti per chi non si allinea, che l’autore sperimenta sulla sua pelle. Trimboli, nonostante soddisfazioni professionali e giudiziarie (ha anche vinto in giudizio per l’annullamento di alcune sanzioni disciplinari firmate da Piero Vigorelli per aver continuato a collaborare al Corriere dello Sport, sua grande passione), matura un malessere sempre più forte fino allo showdown finale. Showdown che si consuma quando nel 2009 Annamaria Terremoto – secondo il racconto di Trimboli fedelissima di Giacomo Mancini nel ’90 ma poi spostatasi “armi e bagagli nel variopinto esercito capeggiato da Fini prima e Gasparri poi”, accusata in seguito anche di eccessivo encomio al governatore Scopelliti – viene designata alla successione di Nano.
E’ in quella sede di passaggio ufficiale di consegne che Trimboli, che si sente ancora una volta beffato e scavalcato da logiche di potere, davanti ai pezzi da ’90 della rete, tra i quali Alberto Maccari, pronuncia il suo coraggioso j’accuse nei confronti di una Rai “madre-matrigna” che “calpesta i principi di anzianità professionale, aziendale e il principio mansionario”, oltre che merito riconosciuto e impegno profuso, in nome di quella che Trimboli chiama “mutazione genetica” dell’azienda. Un intervento rimasto nella memoria di tanti colleghi che vi hanno assistito, da parte di un giornalista “lottizzato, sì, ma che ha sempre cercato di mettere al centro del proprio impegno professionale il rigore, l’imparzialità, l’oculatezza – Trimboli dice di sé – e la pari dignità”. Un ottimo spunto di riflessione, visto che l’argomento lottizzazione in Rai è ancora perfettamente attuale, e interessante (anche se a tratti amaro) memoir, sia per addetti e appassionati ai “lavori della comunicazione” che per il pubblico, da leggere sotto l’ombrellone nell’ultimo scorcio d’estate o comodamente sdraiati sul divano di casa ai primi freddi autunnali.
Teresa Pittelli