Mobilità interuniversitaria, collane e progetti editoriali tra i risultati della collaborazione. Che cos’è la Storia delle Idee.
Storia delle idee come approccio che supera gli steccati disciplinari per orientarsi a tutto campo nel passato, e quindi nel presente. Un esempio? Le interpretazioni della magia, che non è affatto scomparsa dalle nostre società, anzi, torna in forme nuove e imprevedibili. Basta pensare alle teorie del complotto. A illustrare linee e contenuti della disciplina è Martino Rossi Monti, dell’Istituto di Filosofia di Zagabria.
Domanda. Nei giorni scorsi Lei ha tenuto alcuni seminari come visiting professor al Dipartimento di Studi umanistici dell’Università della Calabria, nell’ambito del programma VIS (Visiting Scholars) di ateneo. Uno di questi aveva come titolo Interpretazioni della magia del Novecento. Può spiegarci le ragioni della scelta di questo tema e che accoglienza ha trovato tra gli studenti?
Risposta. Ho accolto con piacere l’invito del professor Roberto Bondí a tenere alcune lezioni all’interno del suo corso di Storia della filosofia su temi vicini a quelli da lui toccati nelle lezioni precedenti. Ho scelto di approfondire il tema della magia perché gli studenti ne sentono molto parlare quando affrontano la cultura del Rinascimento e la rivoluzione scientifica. Ho pensato che potesse essere utile soffermarsi su alcune delle principali interpretazioni della magia tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, da Frazer a Mauss, da Freud a Piaget, da Lévy-Bruhl a de Martino. Utile non solo a farsi un’idea di un grande dibattito culturale e della sua complicata eredità storica, ma anche a orientarsi nelle discussioni e nei problemi del presente.
D. Quali, per esempio?
R. Viviamo un presente nel quale – come sottolinea Fabio Dei in un articolo in via di pubblicazione sulla rivista La ricerca folklorica – gli studi antropologici hanno quasi del tutto abbandonato la nozione onnicomprensiva di “magia” per concentrarsi su questioni più localizzate e culturalmente specifiche (la stregoneria, i tabù, l’animismo, ecc.); d’altro lato i fenomeni e i meccanismi di pensiero tradizionalmente associati al “pensiero magico” non sono certo scomparsi dalle nostre società secolarizzate e sono spesso visti da antropologi, scienziati cognitivi e filosofi come intrinseci a una modalità universale e “immediata” di rapportarsi al mondo. Una modalità con la quale intratteniamo rapporti complicati e ambigui. Basti pensare alla diffusione delle teorie del complotto e al loro rapporto con l’idea di un’azione nascosta e pervasive di forze malvage, o con il rifiuto del caso. Oppure all’idea della terra o del cosmo come un organismo saggio e divino che si autoregola. Per non parlare del ciclico riemergere, all’interno della galassia delle correnti antimoderne, di quelle forme di “nostalgia” del magico con le quali Ernesto de Martino prima, e Paolo Rossi poi, hanno polemizzato energicamente. Forse anche per tutti questi motivi, il tema del “magico” riscuote sempre un certo successo tra gli studenti; così è stato anche, almeno mi pare, per gli studenti dell’Università della Calabria, i quali hanno sollevato interrogativi sottili e proposto riflessioni capaci di arricchire e complicare la discussione che è seguita alle lezioni.
D. Da qualche tempo il DiSU e l’Istituto di Filosofia di Zagabria hanno stretto un accordo di collaborazione. Quali i risultati e quali le prospettive?
R. Tra il Disu Unical, diretto dal professor Raffaele Perrelli, e l’Istituto di Filosofia di Zagabria, diretto dal prof. Luka Boršić, esiste dal 2021 un accordo di collaborazione scientifica. Oltre a scambi culturali e opportunità di mobilità interuniversitaria, questa collaborazione ha portato alla creazione di una collana dal titolo “Storia delle idee” per l’editore pisano ETS e al progetto – che è in fase di completamento – di una rivista internazionale di storia delle idee. Il primo volume della collana – una Festschrift in onore di Ferdinando Abbri – è uscito nel 2021. È in corso di pubblicazione il secondo volume a mia cura: una raccolta di scritti del francesista e storico delle idee Corrado Rosso (1925-2005) con un’appendice di saggi in suo ricordo scritti da studiosi di diversa provenienza disciplinare. In cantiere abbiamo anche la prima traduzione italiana, a cura di Roberto Bondí, di un volume di George Boas, uno dei padri fondatori della scuola americana della History of ideas.
D. Qual è lo scopo della collana “Storia delle idee” e a che punto è, secondo lei, il dibattito su questa disciplina?
R. Lo scopo della collana è duplice: da un lato, si tratta di rimettere in circolazione studi di storia delle idee oggi difficilmente reperibili o mai tradotti; dall’altro, di pubblicare saggi che seguano i percorsi imprevedibili e le “migrazioni” delle idee nei tempi lunghi della storia e che procedano “secondo le linee dei problemi anziché secondo quelle delle discipline costituite”, come scriveva negli anni Sessanta del secolo scorso Paolo Rossi, riprendendo la lezione dell’altro padre fondatore della History of ideas, Arthur O. Lovejoy. Nonostante le critiche (più o meno giustificate) e gli attacchi che da più fronti si sono riversati su questa disciplina già a partire dagli anni Settanta, non mi pare che il tipo di approccio ai problemi da essa inaugurato si sia rivelato come qualcosa di rinunciabile. Soprattutto in tempi – come quelli attuali – nei quali al proliferare di analisi del presente prive di qualsiasi profondità storica si accompagnano da un lato uno specialismo spesso troppo autoreferenziale e, dall’altro, il deprimente successo internazionale di una storiografia ideologizzata che riconduce qualsiasi fenomeno storico a rapporti di potere, performance retoriche o meccanismi di marginalizzazione. Qualche anno fa, parlando dei rapporti tra specialismo e storia delle idee, lo storico Darrin McMahon ha fatto ricorso a un paragone tratto dal mondo della pittura che mi sembra particolarmente efficace. Dato che i meriti e le bellezze del “puntinismo” storiografico sono stati ampiamente dimostrati – ha scritto – “forse è ora che qualcuno cerchi di dipingere con pennellate più larghe, nella consapevolezza che se il passato è un paese straniero, non necessariamente deve essere pensato come un borgo isolato rinchiuso nel tempo”. Esplorare quel paese lontano o sconosciuto non significa infatti solo comprenderne e rispettarne la specificità storica, ma anche cercare di districare e illuminare le radici del nostro presente. La storia delle idee, insomma, serve a renderci consapevoli dell’origine dei nostri modi di pensare: “Se questo non è importante”, scriveva George Boas nel 1969, “mi domando cosa lo sia”.
t.p.