(tribute by Kees van Dijkhuizen jr.)
Dall’Italia e per di più dall’estrema provincia, come Catanzaro, è possibile partire per Hollywood e lavorare con i grandi del cinema, senza agganci ma solo con il talento? “E’ molto difficile ma se al merito è unita l’intelligenza di specializzarsi al top in un settore specifico, imparare l’inglese e saper usare la tecnologia, allora c’è una possibilità”. Così risponde all’Esuberante.it Marco Trentini, art director, production designer di numerosi film di successo di Ridley Scott e non solo, da Black Hawk Down a Le crociate – Kingdom of Heaven, da serie cult come Ben Hur (2010) e Homeland a successi come Prequel to the Exorcist, Nessuna verità -“Body of Lies” per la regia sempre Scott, l’indimenticabile U-571 diretto da Jonathan Mostow, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi di Michael Bay. Oggi e domani Trentini sarà all’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, in esclusiva nazionale, a tenere un seminario di due giorni per gli studenti, presentato dallo scenografo e docente dell’Accademia Claudio Cosentino – con il quale condivide un lungo sodalizio di stima e impegno comune per la categoria – e alla presenza della direttrice Anna Russo.
Marco Trentini: cosa fa un art director? E come si arriva a lavorare con i grandi del cinema americano?
Noi siamo una categoria strana, a metà tra artisti e tecnici. Ho iniziato in produzione da figlio d’arte. Mio padre Lucio era il produttore esecutivo di Dino De Laurentis, lavorava con Visconti e con tutti i grandi del cinema di allora, e ho respirato i set fin da ragazzino. Ma la produzione non era il mio mestiere. A me piaceva disegnare: mi sono iscritto in architettura, ho dato una decina di esami. Anche lì soffrivo dell’ambiente a volte claustrofobico, dogmatico. La svolta è arrivata quando sono andato in America, dove ho avuto la fortuna di conoscere il mitico Dean Tavoularis che è stato un maestro, così come Fernando Valento detto “lo sceriffo” che mi ha insegnato il mestiere. Sono stato tra i disegnatori del Padrino parte III di Coppola, del Il the nel deserto di Bertolucci e di U-571 e finalmente ho capito qual era la mia vocazione.
E chi non è figlio di nessuno come fa?
Non è un mondo semplice, le amicizie e le lobbies contano tanto purtroppo. Ma il mio consiglio ai giovani è innanzitutto di specializzarsi, perché ho avuto tra i miei giovani assistenti ragazze e ragazzi indecisi tra pittura, scultura, arredamento o disegno. In secondo luogo: imparare l’inglese, necessario per lavorare all’estero e farsi le ossa in quello che per me è attualmente il vero cinema, quello americano. Terza cosa essenziale: dominare la tecnologia. Programmi come sketchup e autocad per l’animazione in 3D sono ormai fondamentali. Si disegna sempre meno al tavolo e sempre più in digitale. Chi sa farlo ha già una marcia in più, attualmente molto richiesta. E qui a Catanzaro i ragazzi hanno la fortuna di avere uno specialista di sketchup e di altre tecniche digitali come il professor Cosentino.
Quale ricordo conserva tra i più belli di una vita passata a disegnare e costruire grandi set?
I ricordi sono tantissimi. Tra questi senz’altro sono felice del rapporto di stima, quasi fraterno, con le maestranze. E non solo quelle italiane che sono ancora tra le migliori al mondo, ma anche quelle incontrate in ambientazioni in cui ho lavorato tantissimo come Ouarzazate in Marocco. Certo indimenticabili sono alcuni episodi con il grande Ridley Scott e il suo scenografo capo, Arthur Max. Come quando il primo giorno di riprese di Le Crociate c’era un problema che ho segnalato a Ridley, perché temevo che gli spettatori se ne sarebbero accorti, e lui ha seguito il mio consiglio di “occultamento” della svista ma poi mi ha detto: “Guarda che non c’è problema: io giro film, creo mondi, non faccio documentari”. E’ una grande verità.
Teresa Pittelli e Giorgio De Filippis