Il Tribunale di Catanzaro ha accolto l’opposizione all’archiviazione del caso di Caterina Viscomi, la giovane mamma entrata in coma dopo un cesareo all’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro nel maggio 2014 e tutt’ora nello stesso stato. A darne notizia è l’avvocato Giuseppe Incardona che assiste il marito di Catia, Paolo Lagonia, e la famiglia che nei mesi scorsi si è battuta perché la vicenda non fosse archiviata, come era stato chiesto lo scorso ottobre dal pubblico ministero (per intervenuto decesso dell’unica indagata, l’anestesista Loredana Mazzei, ndr). Un risultato oggi raggiunto. “Il gip del Tribunale di Catanzaro Giuseppe Perri ha accolto la richiesta di opposizione all’archiviazione – spiega il legale – disponendo approfondimenti utili a capire cosa sia successo in sala operatoria al momento del parto”. Il giudice esclude quindi, secondo il difensore della della famiglia Viscomi-Lagonia e in accoglimento della tesi di quest’ultimo, che “la responsabilità di quanto accaduto possa essere addossata unicamente all’anestesista, mentre potrebbe essere ricondotta all’intera equipe medica”.
Tra gli spunti di approfondimento contenuti nell’ordinanza Incardona fa cenno “a eventuali responsabilità di chi avrebbe avuto l’obbligo di sollevare la dottoressa Mazzei dall’incarico, in considerazione delle sue condizioni di salute e di equilibrio incompatibili, come notorio nell’ambiente ospedaliero, con l’attività di sala operatoria”. Al pm spettano ora altri sei mesi per svolgere ulteriori indagini, mentre davanti al Tribunale civile è stato già citato anche l’ospedale “per risarcire un danno patrimoniale e non patrimoniale pari a circa 11 milioni di euro, in assenza di una valida e palesata copertura assicurativa”, spiega ancora l’avvocato. Incardona chiama infine in causa il ministero della salute “che dovrebbe palesare il proprio interesse per la triste e nebulosa vicenda sulla quale il gip Giuseppe Perri sta cercando di far luce con un gesto di pacificazione sociale processualmente apprezzato”.
L’ordinanza di oggi, che per alcuni versi può definirsi storica, premia la determinazione dei familiari di Catia, che non hanno voluto mai “mollare” continuando a chiedere giustizia per la giovane mamma, apprezzata oncologa soveratese che lavorava al policlinico universitario di Germaneto, che non può veder crescere il proprio bimbo. Per unirsi alla richiesta della famiglia si era mossa, a novembre, l’intera comunità di Soverato e del catanzarese, con una fiaccolata che aveva raccolto un migliaio di persone intorno al marito, ai fratelli e alla mamma di Catia, per chiedere di fare luce sull’assurda vicenda della partoriente. All’appello si era unito anche il direttore dell’istituto salesiano di Soverato, don Gino Martucci, e il sindaco della città, Ernesto Alecci. Mentre il caso nei giorni successivi era approdato anche al Tg1. Oggi la prosecuzione delle indagini vale, quindi, come riconoscimento alla tenacia della famiglia e alla tesi portata avanti con impegno e determinazione dal suo legale; e come segno per una comunità nel ricordo di Catia e nella richiesta di giustizia e verità per la sua concittadina è riuscita a essere unita e solidale.
Teresa Pittelli