Spuntano nuovi elementi sul caso di Caterina Viscomi, la giovane mamma soveratese entrata in ospedale sanissima il 6 maggio 2014 ma finita poco dopo in coma nel corso di un parto cesareo al Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. La famiglia ha sporto una querela per la quale è in corso un processo al tribunale di Catanzaro; e dopo essersi opposta all’archiviazione, chiesta dal pm per intervenuto decesso dell’anestesista Loredana Mazzei, unica imputata, ha appena depositato una memoria contenente una richiesta di nuove indagini. La ricostruzione del pm ha riconosciuto una colpa medica grave nella prolungata ipossia (mancanza di ossigeno) che ha causato a Catia importanti lesioni cerebrali durante l’intervento eseguito in anestesia generale, attribuendone però la responsabilità alla sola anestesista. Secondo la memoria presentata dal legale della famiglia, però, le cose potrebbero essere andate diversamente.
“La responsabilità penale per le gravi e irreversibili condizioni in cui giace Caterina Viscomi non può e non deve essere esclusivamente attribuita alla sola dottoressa Mazzei ma va estesa a coloro che insieme a lei hanno condotto l’atto medico con evidenti e gravi profili di colpa”. Così l’avvocato Giuseppe Incardona, per conto di Paolo Lagonia, marito e tutore di Catia, conclude la memoria integrativa depositata nei giorni scorsi al tribunale chiedendo un supplemento di indagine al gip che si pronuncerà all’udienza del prossimo 15 dicembre. Gli elementi sui quali si basa la nuova richiesta a proseguire le indagini puntano innanzitutto sulla responsabilità di equipe: quella notte “in sala operatoria c’erano altri soggetti professionisti tenuti a svolgere attività medico-chirurgica in equipe, contraddistinta da costante collaborazione e interazione di un obiettivo comune (vita e integrità psico-fisica del paziente)”, scrive Incardona nella memoria, richiamando l’orientamento della Cassazione nell’attribuire “ai medici che svolgono attività di gruppo il dovere del reciproco controllo indipendentemente dal ruolo ricoperto all’interno dell’equipe”.
E c’è di più: i tre fratelli della dottoressa Viscomi, Giuseppe, Domenico e Giacomo, hanno appena presentato alcune querele contro ignoti per false dichiarazioni all’autorità giudiziaria, sempre attraverso l’avvocato Incardona. Sul caso, quindi, potrebbero aprirsi nuovi fascicoli di indagine. Tornando alla memoria, secondo l’atto esisterebbero divergenze tra le dichiarazioni sottoscritte dagli operatori nelle cartelle cliniche che descrivono l’intervento e quelle rese a distanza di tempo ai carabinieri del Nas di Catanzaro. Divergenze in relazione all’effettivo ruolo giocato dall’anestesista, poi deceduta nel febbraio 2015. “Le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti smentiscono quanto annotato dai medesimi in cartella”, sostiene Incardona, ricostruendo un quadro di testimonianze che non sarebbe chiaro, se non nell’intento “di incolpazione di un’unica figura medica tra tutti coloro presenti nella sala operatoria al momento dell’intervento”.
La memoria torna anche sulla richiesta di sospensione della Mazzei dalla conduzione di sedute anestesiologiche da parte del primario del Bambin Gesù Fabrizio Gennari già nel 2012, in seguito alla quale fu aperto a carico della dottoressa un procedimento disciplinare poi archiviato. “Inibirle di operare in area di emergenza avrebbe dovuto rappresentare un obbligo inderogabile per il responsabile del servizio”, argomenta la memoria, secondo la quale il comportamento omissivo di chi avrebbe dovuto sospenderla “rappresenta una fonte di responsabilità autonoma che non può passare inosservata”. In attesa dell’udienza, intanto, a Soverato, paese natale di Catia Viscomi, apprezzata oncologa del policlinico Germaneto, sono forti le mobilitazioni per chiedere giustizia per la giovane mamma che non ha potuto abbracciare il suo bimbo di un anno e mezzo. La fiaccolata dello scorso 13 novembre, in particolare, ha raccolto in corteo centinaia di persone, con un appello personale del sindaco, Ernesto Alecci, a non far cadere il caso nell’oblio e a “cercare giustizia perché queste tragedie non capitino mai più”.
Teresa Pittelli