Tra bufale e verità, tra Calabria ed Europa, come scelgo cosa mangiare.

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    Carne sì, carne no.  Altro che “essere, o non essere”! Questo è il dilemma di inizio terzo millennio. Chissà che cosa ne avrebbe pensato il noto drammaturgo e poeta inglese? Ma lasciando stare Shakespeare, la questione, se vogliamo essere semiseri,  è quanto mai di sostanza. A meno che non si debba arrivare veramente un giorno all’interrogativo “mangiare o non mangiare”, allora sì che il dilemma sarebbe letteralmente esistenziale. Ai pericoli attribuiti al consumo di carne (senza riferimento specifico alla quantità), si aggiungono in queste settimane altre allarmanti novità: i formaggi creerebbero dipendenza, un’inconsapevole droga assunta in “forme” e dosi massicce sin dalla notte dei tempi; neanche il caffè sfuggirebbe a questa lista inclemente; per non parlare del pesto, orgoglio ligure che per l’impiego di pinoli danneggerebbe l’ambiente. Solo la cioccolata sembra cavarsela a pieni voti, con esultanza di appassionati e golosi di ogni età.

    Si diffonde intanto l’eco dell’eventualità che, se avranno il via libera della Agenzia europea della sicurezza alimentare, insetti, alghe, vermi, larve e scorpioni potrebbero  finire sulle tavole degli europei. In omaggio al detto calabrese forse “quandu gridhi, quandu gadhi”, che si riferisce alle alterne vicende di povertà e abbondanza tali da far arrivare nel piatto “gridhi” (grilli) per indicare il nulla o poco più o “gadhi” (galli e pollame in genere) nei periodi di maggiore fortuna. Insomma ce n’è per tutti i gusti. Ma se proprio non si riesce a rinunciare alla carne, ci sarebbe una zecca la puntura della quale renderebbe  vegetariani, almeno per qualche tempo. Tra verità acclarate e “bufale” sfuggite dal recinto mediatico, rifletto: cosa mangiare, cosa non mangiare, tra orientamenti vari.

    Il pensiero corre ai miei nonni e ai miei bisnonni che  si sono avvicinati e hanno superato il secolo di vita. Mangiavano di tutto, compatibilmente alle possibilità del tempo. Non si abbuffavano di patatine e dolci. Non erano esposti ad agenti inquinanti provenienti da varie fonti come noi oggi. Facevano molto lavoro nei campi e la loro vita non era frenetica come la nostra, ma aveva il ritmo delle stagioni e della natura. Le galline scorazzavano nell’aia, caprette e pecore pascolavano placide nei prati. La carne si mangiava di rado, proveniente dall’allevamento  domestico, o si comprava la domenica in paese, dove ci si recava a piedi per la messa.  Non c’era l’incertezza olio di palma sì, olio di palma no, davanti allo scaffale di merendine e biscotti  al supermercato.  L’unico olio era quello prodotto con le proprie olive, molate al frantoio. Le cantine in ottobre profumavano di mosto, in attesa del vino nuovo da assaggiare in occasione della festa di San Martino.  Le dispense profumavano di mele riposte sulla paglia da consumare d’inverno,  di noci e nocciole. I solai  di castagne poste ad essiccare sui graticci. Ogni odore rimandava a un periodo, a un luogo, a una festa.

    Non c’era il dubbio colazione italiana o internazionale, quello che c’era doveva essere la carica calorica per  dare il via a una giornata di lavoro, per i bambini che a volte percorrevano chilometri, anche d’inverno per recarsi a scuola, con l’impiego del celeberrimo mezzo “ts”, tacchi e suola. Il pane era fatto in casa e durava una settimana, dieci giorni. Il lievito impiegato era ricavato dalla pasta acida che le donne si prestavano scambievolmente. Era un tempo in cui c’era solidarietà e la condivisione della quotidianità era necessaria, nessuno passava davanti alla porta del proprio vicino senza sapere cosa accadesse.  La sveglia era il canto del gallo e il sonno non era interrotto dal trillo di una notifica sul telefonino. Probabilmente prima di prescrivere ricette ed elisir di lunga vita dovremmo pensarci. Che fine ha fatto la dieta mediterranea patrimonio dell’Unesco? E mentre noi ci arrovelliamo il cervello tra scelte alimentari, etiche ed esistenziali, tra una fetta di salame o una foglia di lattuga, da Strasburgo  giunge quasi a bassa voce la bocciatura della proposta di direttiva che avrebbe concesso agli Stati membri il diritto di vietare l’uso di alimenti e mangimi Ogm già approvati a livello comunitario. Penso ad Expo e al tema delle identità locali. Come sarebbe la tradizione calabra senza la nduja e soppressata? Buona vita a tutti, senza dimenticare però chi l’interrogativo “cosa mangiare?” non se lo può neanche porre.

    Maria Patrizia Sanzo

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