Showdown: “Ecco la verità sul Comune di Soverato”. Sinopoli racconta la sua vicenda kafkiana

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Teo Sinopoli

“Un processo durato quattro anni e oltre 50 udienze per concludersi con un’assoluzione piena, chiesta dal pm che rappresenta l’accusa, un’ammissione della mia estraneità totale alle vicende. Ma chi mi ridarà la salute, la serenità, la carriera politica che ho perso?”. A tre giorni dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro su Showdown, il processo scaturito dall’inchiesta sulla cosca Sia-Procopio-Tripodi che spadroneggiava negli ultimi anni 2000 sul soveratese, Teo Sinopoli, vicesindaco di Soverato all’epoca dei fatti, racconta quello che ha vissuto da imputato. E insieme al suo legale, Attilio Matacera, chiarisce molti aspetti di un incubo giudiziario abbastanza kafkiano, che ha inciso pesantemente sulla sua vita. “Una sentenza ti assolve, ma il danno all’immagine che ti lascia è irreversibile, soprattutto per un politico come me risultato all’epoca primo degli eletti e in crescita”, spiega Sinopoli.

Teo Sinopoli 2“E’ difficile far capire cosa si prova quando dalla sera alla mattina si è buttati in un tritacarne, con la stampa che ti descrive come il trait d’union tra una cosca di ‘ndrangheta e il Comune, con foto e titoloni, e tu non ti capaciti di cosa stia succedendo”, racconta l’ex amministratore. “Il mio partito, l’Udc, mi ha immediatamente scaricato. Gli amici e i conoscenti si sono defilati, anche i tanti che in dieci anni avevo aiutato. Avevano paura di telefonarmi temendo di essere intercettati, quando il mio telefono non è mai stato sotto controllo. Sono rimasto con la mia famiglia ad affrontare la vergogna di uscire di casa, e poi una debacle psico-fisica di cui ancora pago le conseguenze”, ricorda Sinopoli. L’ex vicesindaco in quel dicembre 2011 ha rischiato gli arresti (chiesti dal pm ma non concessi dal gip Antonio Rizzuti che non riscontrò validi elementi indiziari). Arresti toccati invece all’imprenditore Giandomenico Rattà, fresco sposo all’epoca dei fatti, che ha subito qualche giorno di detenzione con l’imputazione di associazione mafiosa, per poi essere assolto sempre su richiesta del pm così come i due funzionari comunali Saverio Mirarchi e Massimo Procopio (che erano accusati di abuso di ufficio).

L'avvocato Attilio Matacera
L’avvocato Attilio Matacera

“Le accuse si basavano su una tesi portata avanti dagli inquirenti anche quando sarebbe dovuto essere chiaro che i presupposti non c’erano: la tesi che la cosca Sia-Tripodi avesse condizionato l’attività amministrativa del Comune di Soverato”, precisa Matacera. “Una tesi smentita totalmente in dibattimento e dalla sentenza”, chiarisce il legale. “Tutto parte (e tutto si ferma) con le dichiarazioni di Vincenzo Todaro, pregiudicato che dopo la morte per lupara bianca del fratello Giuseppe, nel 2009, diventa collaboratore di giustizia”, dice il legale ripercorrendo le tappe della vicenda. “Todaro appare risentito con Sinopoli, anche perché a suo dire non faceva lavorare la ditta per la quale lavorava lui. E lo indica come in grado di condizionare l’ufficio tecnico nell’affidare incarichi per lavori alla ditta di Cosimo Pezzaniti, che Todaro indica come vicina alla cosca”, ricostruisce Matacera. “Tutte illazioni crollate già in fase di indagine, quando non si trova un solo incarico affidato dal Comune a Pezzaniti, del tutto estraneo al procedimento”, prosegue Matacera. “Quando il pm chiede a Todaro come facesse a dire che Sinopoli volesse favorire la cosca, Todaro risponde che sicuramente doveva essere così, e che comunque glielo aveva riferito “suo zio”, uno che sapeva sempre tutto. Circostanza poi smentita dallo stesso zio: era questo il livello di credibilità di Todaro – incalza Matacera – eppure si è deciso di andare avanti”.

Gli inquirenti trovano invece qualche lavoro di contenuto valore economico affidato a Giandomenico Rattà, tra cui il famoso “marciapiede” di collegamento tra Turrati e Soverato vecchia. “Un lavoro che il Comune ha affidato in urgenza per togliere dal sito amianto e altri rifiuti spuntati nei pressi del sito archeologico”, spiega Sinopoli ancora a distanza di cinque anni. “E un lavoro che per lo stesso oggetto fu affidato contestualmente anche a un’altra impresa, la ditta Giuseppe Castanò, senza che però questa fosse minimamente sfiorata da indagini. Allora delle due l’una: o i procedimenti amministrativi sono stati corretti per tutti, o si sarebbero dovuti chiamare in causa le varie ditte che parteciparono ai lavori”, evidenzia Matacera. “Lo stesso pm e poi il tribunale hanno dato ragione alla prima ipotesi – conclude – e cioè la limpidezza dell’operato del Comune”.

Cosa rimane dunque una volta cadute tutte le ipotesi di Todaro, definite “vaneggianti” da Matacera? “Amarezza, voglia di riprendermi la mia vita, gratitudine per il mio avvocato, e anche per il pm che ha chiesto la mia assoluzione, riconoscendo l’infondatezza delle accuse. E un’altra cosa voglio dire senza vergognarmene: io quando qualcuno diceva che sarei stato arrestato ho sognato la Madonna Addolorata, nostra Patrona, che mi teneva sotto al suo manto. Mi sono affidato a lei mi ha protetto” rievoca Sinopoli. E se anche è difficile prospettare un risarcimento per ingiusta imputazione, al vaglio di Matacera, la riabilitazione e un piccolo ristoro morale passano almeno dalla voglia di raccontare questa storia. E di ricominciare.

Teresa Pittelli

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