Il gazebo in piazza a Satriano? “Esecrabile”. L’intervento di Carlo de Giacomo (ItaliaNostra)

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mostro di Satriano
Satriano - Piazza Monumento

 

Città e paesaggi sono la tradizione fisica dei nostri valori spirituali e materiali, concretizzazione di “spazio esistenziale”, relazioni fondamentali tra uomo e ambiente. Città e paesaggi, che tra alternanze di segni, stratificazioni e multiformi presenze condensano nel tempo le memorie dei luoghi. La piazza è tra queste presenze la più caratterizzante, uno spazio rituale ed evocativo, un momento di pausa sul costruito. In questi ultimi anni, però, abbiamo assistito al dilagare di una delle più insidiose attività dell’”ingegno” umano: gli interventi di ambiziosi e modesti architetti, ingegneri e altri nelle piazze storiche italiane.

A Milano la catastrofe di Piazza Cadorna, a Roma Piazza Montecitorio e gli interventi di Piazza Risorgimento. E ancora Piazza Duomo a Spoleto, Piazza Castello a Torino, Piazza Aldrovandi a Bologna, Piazza del Duca a Senigaglia, Piazza Duomo e Piazza Toscano a Cosenza, Piazza S. Pietro a Bari, etc. Per non dire delle piazze di piccoli centri, a torto definite minori. Tutti interventi fortemente ed a tratti anche aspramente criticati dalle sezioni di Italia Nostra. Materiali sbagliati, disegni capricciosi e sistematica distruzione di pavimentazioni esistenti, nella migliore delle ipotesi, hanno sfigurato luoghi storici ed “unicum” paesaggistici. Nella migliore delle ipotesi!  Si perché a Satriano si è andato oltre. La piazza è stata coperta da un esecrabile gazebo posto a pochi metri dal Monumento ai caduti. Apostrofando C. Brandi: “Vorremmo vedere se una cosa simile si prospettasse a Bruges: strillerebbero anche i cigni del Lac d’amour”.

Giuseppe Samonà tra i primi definiva quelle che ancora oggi appaiono le condizioni necessarie per uscire dalla gabbia ingannevole di troppi pregiudizi sulla questione dei centri storici e degli interventi su questi, diceva: Chi guarda l’Acropoli di Atene che è un’opera lontanissima dal nostro tempo, non la sente come rudere, ma la sente nel contesto della città di Atene, come un fatto vitale formidabil. La conservazione del centro storico riguarda la sua unità intrinseca e perciò l’eliminazione di tutto ciò che disturba ed è in contrasto con quest’unità”. A tal proposito mi sia consentita una breve replica a chi ancora pensa che Italia Nostra inveisca con “critiche preconcette” nei riguardi di chi interviene nei e sui centri storici.

Ebbene una volta per tutte: non siamo contro i cosiddetti interventisti, siamo piuttosto contro chi “trasforma” – ed è un eufemismo – pretestuosamente senza garantire la permanenza dell’autenticità della storia stratificata, della storia intesa come cultura materiale. Certo, forse a ciascuno di noi è più vicina la poetica visione di Percy Shelley che notturno contempla il Colosseo “come natura” con gli antichi archi che si ammassano l’uno sull’altro e si protendono nell’aria azzurra spezzandosi nelle forme delle rocce sovrastanti. Tuttavia non ci consentiamo tanto meravigliato candore, siamo abbastanza lontani da lunari fantasmi. 

Siamo però dei conservatori, ma non come l’accezione comune intende, ovvero “reazionari”, piuttosto come custodi di valori e memorie da tenere in vita per trasmetterli ai posteri. Come conciliare, dunque, il governo delle trasformazioni nei tempi nei modi e nelle quantità necessarie e far salvi quei valori complessivi che sono patrimonio di un luogo? Cosa si può concedere?Il problema di chi interviene sul territorio, sul paesaggio, non è solo quello di capirne i “segni”- che non è comunque cosa semplice – ma di intervenire su di esso riconoscendo i luoghi nei quali la natura e la storia devono essere conservate, e quelli nei quali le trasformazioni devono essere completate e migliorate ed anche corrette per limitarne il degrado: è in fondo il “codice” del rispetto nei confronti dell’ambiente.

E’ la volgarità e la banalità che devono essere espulse dal nostro vocabolario, necessariamente. In definitiva, il “codice” del rispetto che non è il codice troppo semplice dell’esclusione di ogni gesto: è il codice di gesti appropriati che come prima condizione di proprietà abbiano un meritato complemento. Che siano il minimo e che siano necessari. Un “codice” della “minima azione” per quello che rappresenta ogni aggiunta di segno. Poche e profonde cose consigliava Aldo Rossi ai suoi collaboratori, poche e profonde cose come contenuto estremo e veritiero dell’arte. Il resto è vanità.

Il Presidente (consiglio regionale Calabria)

Arch. Carlo de Giacomo

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