Al Salone del Libro la storia di Silvia, la bimba morta di tumore e “rinata” in cielo.

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Elena e Vito Tassone al Salone del Libro con Monica Di Leandro

 

La nuova copertina del libro “Una luce di nome Silvia”

“Una Luce di nome Silvia” è nato da un percorso di rinascita spirituale dopo la morte di vostra figlia, nel 2008. Come si è risvegliato l’interesse per questa storia, tanto da portarlo all’edizione 2022 del Salone del libro di Torino?

Nel 2008 la scrittura è stata un’esigenza spontanea per elaborare ciò che aveva sconvolto la nostra vita familiare: la morte di una figlia di appena 11 anni (qui la storia di Silvia). Questo libro è stato stampato da noi in self publishing: in questo modo abbiamo avuto l’opportunità di regalarlo ad amici e parenti e a volte distribuirlo on line. Poi lo scorso gennaio siamo stati contattati da Cristiana Mancini, collaboratrice della casa editrice Di Leandro & Partners, che si era imbattuta casualmente sulla nostra pagina Fb dedicata a Silvia e ci ha chiesto un’intervista per il sito Pink Society. A questo punto ci ha messo in contatto con l’editore che ha dimostrato un interesse molto forte per la nostra storia e ci ha proposto la pubblicazione e la presentazione al Salone. Possiamo dire che Silvia stia crescendo e camminando da sola, come lo stesso Gesù le disse in sogno, anche se umanamente non è qui con noi!

Siete appena tornati da Torino. Com’è stato accolto il libro?

Non avremmo mai pensato di arrivare al Salone internazionale del Libro. Ringraziamo Monica Di Leandro che ci ha seguiti in tutto il percorso per arrivare con serenità all’evento. Abbiamo potuto interagire con altri autori e conoscere storie e realtà diverse dalla nostra, in un contesto magnifico, pieno di ricchezza umana e culturale. Il libro di Silvia è stato molto apprezzato e a noi genitori interessa fortemente che la testimonianza di nostra figlia sia conosciuta il più possibile, perché siamo certi che il suo messaggio sia per tutti, anche per chi non ha fede. Un’esperienza entusiasmante anche per Tommaso, il fratellino di Silvia.

A distanza di quindici anni, come è cambiato il rapporto con il ricordo di Silvia e con quello che avete vissuto insieme a lei? 

Nonostante siano trascorsi molti anni, il ricordo è sempre più forte e vivo che mai. Non è cambiato nulla. Il tempo che scorre inesorabile non intacca minimamente la nostra memoria. Umanamente il dolore dovuto alla perdita fisica della nostra adorata bambina è sempre presente, ma allo stesso tempo, la certa speranza di non averla assolutamente perduta è radicata nel nostro cuore. Questo ci fa andare avanti con gioia nella vita familiare e comunitaria.

Quale cammino prevedete per il libro? Cosa vorreste che questo racconto di dolore e salvezza trasmettesse ad altri genitori e alle persone, sia che vivano un’esperienza simile sia che ne siano del tutto lontani?

Silvia nei pochissimi anni della sua vita umana è stata un Vangelo gioioso, una Luce nel buio dell’esistenza per quelli che l’hanno avvicinata. Non potremo mai dimenticare la visita che una persona non credente le fece pochi giorni prima che “nascesse in cielo”. Una donna molto colta e saggia, che andò via da casa, quel giorno di novembre, arricchita dalle parole semplici che Silvia le rivolse. Tanto da telefonarci il giorno dopo per dirci che sarebbe ritornata perché aveva bisogno di ascoltare ancora quella bambina che le dava la certezza sul fatto che ci sia ancora qualcosa di buono nel mondo. Per questo abbiamo affidato all’Immacolata Concezione i frutti di questo libro, con la speranza che, un giorno, Silvia vedendoci non ci debba dire: “Mamma, papà, avevate un tesoro così bello e l’avete tenuto solo per voi”!

In questi anni non c’è mai stato un momento di cedimento, di ribellione alla fede, di rifiuto per quello che è successo, di “perché proprio a me?”

In tutta sincerità possiamo dire che, fin dall’inizio della malattia di Silvia, alla quale è stato diagnosticato un sarcoma di Ewing dopo che aveva accusato un dolore al ginocchio, non abbiamo mai provato un sentimento di rabbia per quello che ci stava succedendo. Quando siamo approdati nel “mondo” della pediatria oncologica, abbiamo invece constatato che c’erano talmente tanti bambini e giovani ammalati come e più di Silvia al punto che – non ci sembra paradossale – ci siamo sentiti fortunati. All’Istituto nazionale tumori di Milano, circondati da bambini, giovani e genitori attaccati alla loro personale croce, abbiamo pensato che non eravamo i soli a subire questo martirio e che ci si poteva aiutare l’un l’altro, per superare quelle giornate scandite dai tempi delle terapie. Nel momento in cui abbiamo saputo della recidiva, Silvia ha avuto un attimo di cedimento e piangeva senza dirci niente. Capii che aveva solo l’esigenza di chiedere aiuto, anche se la parola le rimaneva bloccata in gola. “Si mamma, questo volevo dire: aiutatemi”! Ecco, Silvia ci stava dando un’altra lezione: amare la vita vuol dire abbracciare il dono con amore e con coraggio nonostante tutto, e sapere che solo uniti si possono vincere tante battaglie.

 Qual è la testimonianza più importante, il “dono” che Silvia ci lascia?

Guardando umanamente la storia di Silvia, è una storia di dolore che ha diviso la nostra vita in un “prima” e un “dopo” ma, allo stesso tempo, intravediamo una storia di grazia e di bellezza. Silvia a soli undici anni ha dimostrato che si può essere abitati da Dio, amare e farsi amare, soffrire e offrire. Aveva fede e l’ha fatta germogliare in tanti altri. Amava smisuratamente la sua famiglia e desiderava che ci si amasse sempre nonostante le difficoltà e le incomprensioni. E lo diceva, lo manifestava. Silvia ci ha portato a scoprire che Dio è presente nella quotidianità più di quanto possiamo pensare, ha trovato nella sua pur dolorosa esperienza uno strumento salvifico per tutti, nessuno escluso. Viveva gli eventi in un abbandono fiducioso riuscendo a dar loro un valore positivo, per quanto difficili fossero. “Mamma, papà, capisco perché Gesù permette questa mia sofferenza: affinché noi possiamo pregare anche per tutti quei bambini i cui genitori non lo fanno”. E quanto, questo mondo, manca di preghiera? Quanto noi grandi, che ci diciamo cristiani, preghiamo per coloro che non lo fanno? La sua fede è stata più forte della malattia. Quest’ultima è finita mentre Silvia è viva, in Cristo e in noi, e continua a mostrare a tutti il “mondo colorato” che aveva dentro sé.

Teresa Pittelli

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