La morte e la pedagogia per chi rimane: la lezione di “Eravamo felici” della Iaquinta.

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Presentazione di Eravamo Felici all'0istituto FMA di Soverato (Cz)

“Mammì, eravamo felici…”. La frase che da il titolo all’ultimo romanzo breve di Tiziana Iaquinta (Eravamo felici, Algra Editore), presentato nei giorni scorsi all’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice di Soverato (Cz), viene pronunciata da Caterina, protagonista del romanzo e anche della storia (vera) che narra i giorni che hanno segnato la morte del papà, scomparso all’improvviso in un pomeriggio di aprile. Dal momento in cui, mentre guarda un cartone dalla nonna, apprende la notizia nuda e cruda dalla mamma appena tornata dall’ospedale, si dipanano ottanta pagine di pensieri, interrogativi, ricordi, profumi, odori, timori, domande che sembrano più grandi di noi, figuriamoci di una bambina di quasi otto anni. Eppure Caterina se le fa, e cerca risposte.

“Non dobbiamo mascherare, nascondere il dolore della perdita, ma dargli un senso. Il dolore che fa male è quello che rimane vuoto di significato. Se invece la morte viene raccontata come parte dell’esistenza, se resta un inestimabile patrimonio di valori e ricordi, ecco che può essere affrontata, anche dai ragazzi e dai bambini”, ha spiegato Iaquinta, docente di Pedagogia generale all’Università Magna Graecia di Catanzaro, fondatrice della branca della “pedagogia del dolore” in Italia, biografa prima con Ciao Caterina, conosciuta a Soverato anche nella sua riuscitissima riduzione teatrale, ora con Eravamo felici, di una storia di sofferenza – una bimba che perde il suo amatissimo papà senza il tempo di salutarlo, una donna che perde il marito nel fiore degli anni – ma al tempo stesso di redenzione.

“Ho cominciato ad avere fede in maniera davvero autentica e concreta solo dalla morte di Giuseppe – ha raccontato Iaquinta al pubblico numeroso e ipnotizzato che ha affollato il salone dell’istituto Fma – perché da un evento potenzialmente devastante per me e mia figlia ho tratto una pedagogia della sofferenza, il fatto che serva, che abbia un valore, che possa trasformare le nostre vite come noi non ci aspettiamo, insomma qualcosa che può essere utile per noi e per gli altri”. Affiancata dalla presidente Unione Ex Allieve Ermelinda Lifrieri, sua grande estimatrice e organizzatrice dell’incontro, oltre che dalla direttrice dell’istituto suor Ausilia De Siena, Iaquinta ha risposto volentieri alle domande del pubblico su come parlare di morte ai bambini, anche in casi non così estremi ma quando si tratta di un conoscente, di un amico di famiglia, di un nonno venuto a mancare.

“Vale anche per la sofferenza causata dalle difficoltà, dalle cose che non si riescono a ottenere e non solo dalla perdita – è il monito di Iaquinta – non evitiamo ai nostri figli di conoscere frustrazioni e sofferenze, facciamola un po’ sanguinare quella ferita: ne trarranno un’educazione che è al tempo stesso prevenzione e cura per affrontare i momenti difficili della loro vita”. Presente all’incontro anche il consigliere delegato alla cultura Emanuele Amoruso, che ha ricordato come portare Ciao Caterina in teatro comunale e leggere il libro gli ha insegnato “a guardare in modo diverso al distacco da quanto si abbia di più caro, come un genitore che va via”.

Teresa Pittelli

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