Percorso Rosa Bianca: no alla pericolosa disinformazione

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Prof. Elena Morano Cinque. Foto: la C

In Provincia di Catanzaro (prima in Calabria) è stato recentemente inaugurato il Percorso Rosa Bianca che è un percorso di tutela per le vittime di violenza che parte all’interno dei pronto soccorso della Provincia di Grosseto, poi recepito dalla regione Toscana che lo sta sperimentando ormai da diversi anni. Riconosciuto come eccellenza e buona pratica a livello nazionale, nel corso degli anni è stato diffuso in varie regioni d’Italia ed è stato insignito di anche di numerosi riconoscimenti e premi.

Si tratta, infatti, di un efficace sistema per garantire alle vittime un percorso privilegiato e riservato alle cure dei pronto soccorso, oltre al sostegno psicologico, legale, economico. Il tutto supportato da una task force, di cui fanno parte operatori sanitari, socio-sanitari, forze di polizia e autorità giudiziaria.

Spiace constatare la pericolosa disinformazione attorno ad un argomento così delicato come la violenza contro le donne. Spiace ancor più in quanto le autrici di detta disinformazione sono donne! Addirittura sconfortante constatare come un tema così doloroso possa divenire terreno di scontro meramente politico.
Recentemente, il Presidente Bruno, che ringrazio sempre per le pubbliche attestazioni si stima, mi ha detto “Lei è la Presidente della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Catanzaro, senza colori”. E’ stato per me un complimento bellissimo. Il riconoscimento di anni di lavoro onesto, limpido, appassionato e fieramente al di sopra di qualsiasi colore politico, così come dovrebbe essere, a mio modesto avviso, ogni discorso che abbia a che fare con le pari opportunità.

Pertanto, io non entrerò nel merito se sia stato un bene o un male che il Percorso Rosa Bianca sia stato inserito in un emendamento all’interno della Legge di stabilità 2016. Tuttavia, non posso tacere quando leggo notizie false e palesemente infondate atte a confondere e spaventare quelle stesse vittime che si vorrebbe tutelare.

E’ mia abitudine parlare attraverso i fatti, pertanto utilizzerò le quattro principali obiezioni più frequentemente mosse al “Percorso Rosa Bianca”, al fine di dimostrare come siffatti argomenti siano semplicemente infondati e strumentali.

Obiezione n.1: Il percorso “Codice Rosa Bianca” obbliga le donne alla denuncia. E’ assolutamente Falso. Da nessuna parte, infatti, è previsto alcun obbligo di denuncia, giacché, diversamente si violerebbe il disposto del nostro codice penale. E’ previsto, invece, che il personale sanitario che si trova a soccorre la vittima di violenza la informi di tutte le possibilità che ha per uscire dalla propria condizione di sofferenza, della presenza di centri anti-violenza sul territorio, fino alla possibilità di rivolgersi alle forze dell’ordine nel caso in cui la vittima ne faccia richiesta. Trattasi, dunque, di una procedura informativa, ben lontana dall’essere “impositiva di una denuncia”, ma che anzi prefigura una collaborazione attiva tra le associazioni e le istituzioni che operano in prima linea nel contrasto alla violenza in modo da creare una rete efficace ed utile per le vittime.

Obiezione n. 2: il Percorso Rosa Bianca è un “attacco all’auto- determinazione delle donne”. Assolutamente Falso. Sostenere una cosa simile, mi sembra sinceramente soltanto una palese dimostrazione di non avere alcuna contezza di quali siano le procedure del Percorso medesimo. Basterebbe, infatti, leggere le Linee Guida Nazionali per avvedersi che quando un “codice rosa” arriva in pronto soccorso, si profilano due opzioni: Opzione A) La vittima stessa, arrivata in pronto soccorso, si dichiara “codice rosa” (un caso non raro in questi 6 anni di sperimentazione in Toscana ed altre regioni); Opzione B) L’infermiera/e di triage (o il personale medico-sanitario che eventualmente ha soccorso la vittima in ambulanza) nonostante la vittima dichiari “di essere caduta dalle scale” o “di aver sbattuto allo stipite della porta”, intuisce che si possa trattare di un “codice rosa”. Orbene, in entrambi i casi, terminata la fase di identificazione, parte il percorso.

Cosa significa, in termini pratici? Che la vittima invece di aspettare 7/8 ore in astanteria (spesso come un codice a bassa priorità) viene fatta accomodare in una nomale stanza del pronto soccorso fornita di servizi e strumentazione medico-sanitaria adeguata, in modo da evitare ulteriori spostamenti della vittima all’interno dell’ospedale. Fino a qui, è dunque chiaro a tutti che il Percorso Rosa è soltanto una agevolazione per la vittima di violenza sia sui tempi di attesa che sugli estenuanti spostamenti tra un reparto e l’altro dell’Ospedale. Orbene, in caso di conferma di codice rosa, LUNGI DALL’ESSERE OBBLIGATO ALLA DENUNCIA (cosa, ripeto, assolutamente illegittima!!), il/la paziente viene SEMPLICEMENTE MESSO/A AL CORRENTE di tutte le possibilità che ha per uscire dalla propria situazione di sofferenza. Infatti, viene informato/a dell’esistenza di centri antiviolenza specializzati ed eventualmente messo/a in contatto con loro.

Infine, SOLTANTO IN CASO DI ESPRESSA RICHIESTA DA PARTE DELLA VITTIMA, le viene data la possibilità di sporgere denuncia direttamente dal pronto soccorso, ed in tal caso verranno allertate le Forze dell’Ordine e la Magistratura competente che si recheranno in Ospedale al fine di raccogliere la deposizione. Anche qui, evitando attese e spostamenti in Uffici vari. Infine, altro vantaggio per le vittime di violenza consiste nel fatto che, in caso di “codice rosa” il personale medico-sanitario ha il compito di assicurare che tutte le prove di violenza raccolte vengano conservate e non eliminate o contaminate in modo da essere utili ed adeguate da un punto di vista “forense” nel caso la vittima decidesse di sporgere denuncia in un secondo momento (si pensi ad esempio ad un caso di violenza sessuale in cui la vittima ha 6 mesi di tempo per sporgere denuncia). Ovviamente prima di ogni passaggio la vittima viene informata di quello che accadrà e le viene chiesto espresso consenso a procedere.

Obiezione n.3: A causa dell’obbligo alla denuncia le donne non si rivolgeranno più ai pronto soccorso. Assolutamente Falso. Non solo perché come già detto, è falso proprio l’assunto di base: cioè la denuncia non è affatto obbligatoria!! Ma anche perché la sperimentazione portata avanti negli ultimi anni nella regione Toscana dimostra l’esatto opposto: ovvero un aumento costante dei codici rosa trattati.

Obiezione n.4: il Percorso Rosa Bianca va contro la c.d. Convenzione di Istanbul (ratificata ed entrata in vigore nel nostro paese il 1 agosto 2014). Radicalmente Falso! Anzi è vero l’opposto. Infatti, le procedure del Percorso Rosa Bianca trovano i propri fondamenti giuridici – oltre che nella direttiva europea 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e nella legge n.119/2013 – proprio negli artt. 18 e 20 della menzionata Convezione di Istanbul, i quali prevedono espressamente, tra l’altro, che i paesi firmatari “provvedano a garantire misure legislative adeguate atte a garantire alle vittime accesso protetto ai servizi sanitari”.  Alla luce del disposto normativo, dunque, francamente, da giurista (oltre che da Presidente di un organismo di parità) io ravviserei piuttosto l’attinenza del Percorso Rosa Bianca alla Convezione di Istanbul e non il contrario.

In conclusione, senza alcuna vis polemica, mi chiedo come tale percorso possa dirsi lesivo per la dignità e l’autodeterminazione delle donne o addirittura possa “vittimizzarle di più”. A scanso di equivoci, preciso che io personalmente, non traggo alcun vantaggio dall’attivazione del Percorso Rosa Bianca: infatti, sono assolutamente fiera ed orgogliosa di essere stata delegata da S.E. il Prefetto di Catanzaro al ruolo di Coordinatrice del Tavolo Tecnico di attuazione del Percorso Rosa Bianca, ma trattasi di incarico completamente gratuito e volontario.

Se ho sentito la necessità di scrivere queste righe, è dunque, perché la disinformazione è sempre deprecabile, ma quando è rivolta a soggetti potenzialmente esposti ad una delle peggiori esperienze che un essere umano possa vivere, onestamente mi sembra incommentabile.

La Presidente della Commissione Pari Opportunità presso la Provincia di Catanzaro
Avv. Prof. Elena Morano Cinque

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